
"La neve a Roma è un piccolo miracolo e il fascino che suscita in me è dato proprio dal...
"La neve a Roma è un piccolo miracolo e il fascino che suscita in me è dato proprio dal fatto di averla considerata fin da bambino qualcosa d’eccezionale" ammette Arturo Stàlteri (nella foto), parlando di quelle fascinazioni giovanili fermate nell’album “The snow is dancing” che propone stamani alle 11.30 nella sede degli Amici del Loggione della Scala nell’ambito della rassegna “Lieti calici”. "Forse è per questo che i miei dischi hanno tutti un’atmosfera invernale, crepuscolare, nordica", prosegue il pianista capitolino, autore due anni fa pure di un album-tributo a Philip Glass. "La neve ovatta i rumori, rallenta il tempo. Così, visto che m’ero rimesso a studiare ‘The children’s corner’ di Debussy, in cui trova posto proprio quella ‘The snow is dancing’, ho pensato di usarlo come filo per legare fra loro tutti i pezzi a cui stavo lavorando".
A proposito di paesaggi, qual è il primo che le viene in mente suonando queste musiche?
"Forse un orizzonte scandinavo, coi suoi ghiacci e quei cieli plumbe. Pure come gusti musicali guardo a Nord, appassionandomi ad artisti che vengono dal freddo in particolare del panorama svedese o islandese".
Come si legano queste passioni a certe sue fortunate collaborazioni con artisti pop d’impronta mediterranea quali Rino Gaetano e Franco Battiato?
"L’incontro con Gaetano fu abbastanza casuale. Grazie a Vincenzo Micocci, titolare della It, che un giorno ci fece ascoltare il provino di ‘Ma il cielo è sempre più blù’ chiedendoci se fossimo disposti a completarlo. In realtà Rino aveva già idee chiarissime sul da farsi e pure l’introduzione del pezzo, che molti riferiscono a me, fu realizzata su sue precise indicazioni".
E Battiato?
"Ero un suo fan, così quando vent’anni fa mi contattò per lavorare a ‘Bitte, keine Réclame’, una sua trasmissione televisiva per Rai Futura, è stata una gioia immensa. Conoscerlo di persona mi ha permesso di scoprire l’anima acuta e vivace del grande sperimentatore, arricchendomi tanto dal punto di vista artistico che umano".
Tenere un piede nella classica e uno nel pop cosa ha dato e cosa ha tolto alla sua musica?
"Crescere col mito di Arturo Benedetti Michelangeli e di Arthur Rubinstein pur adorando Keith Emerson e Rick Wakeman da ragazzo qualche problema d’identità me l’ha posto. Tant’è che per 5-6 anni ho chiuso la porta al pop per dedicarmi esclusivamente alla musica classica. Oggi mi sento sulla scia di pianisti come Einaudi o Cacciapaglia, che vengono dalle aule di conservatorio, ma amano i Beatles, gli Who e gli Stones".
Mai pensato di recuperare la musica dei Pierrot Lunaire per aggiornarla all’oggi?
"Quando nel ’96 ci ha lasciati, Gaio Chiocchio stava ragionando proprio su qualcosa del genere, ma fui io ad avere dubbi, pensando che quell’esperienza avesse fatto il suo tempo. La sua scomparsa ha chiuso la questione, anche perché i Pierrot Lunaire erano nati da sette brani suoi, eseguiti ai tempi della scuola, di cui mi ero innamorato al primo ascolto".
Andrea Spinelli