ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Robert Plant, la musica oltre il mito: “Sul palco conta solo la passione”

Il leggendario frontman dei Led Zeppellin torna in Italia per un tour “in treno”. Domani è a Como. “Che choc nel 1971 al Vigorelli, gli scontri e le cariche: volevo smettere. Ma io amo tutto questo”

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Robert Plant, 76 anni da icona rock: “Ma a volte mi sento più blues, a volte folk”

Al dirigibile dei Led Zeppelin oggi Robert Plant preferisce il Frecciarossa. È un tour in treno, infatti, quello che riporta il cantante-icona di West Bromwich in Italia per undici concerti con tappe domani al Teatro Sociale di Como e il 23 ottobre al Clerici di Brescia. Il progetto è quel Saving Grace già portato lo scorso anno agli Arcimboldi assieme alla cantante Suzi Dian, al percussionista Oli Jefferson e ai chitarristi Tony Kelsey e Matt Worley. Singolare il repertorio, in bilico tra blues, folk, che spinge l’eroe di “Immigrant song” a spaziare dalle ballad della tradizione alle cover rock, relegando in un angolo la leggenda degli Zeppelin.

I nostalgici del sodalizio con Jimmy Page, John Bonham e John Paul Jones sono avvertiti, così come quelli stregati dalle sue avventure con Alison Krauss. Prima, però, un ricordo. Quello del 5 luglio 1971 al Vigorelli di Milano, dove avvenne di tutto: dai fischi per idoli del Cantagiro come Morandi, New Trolls, Milva, Ricchi e Poveri e Mia Martini, messi da una scriteriata scelta organizzativa in apertura del concento della band inglese, e poi le cariche della polizia contro gli autoriduttori. Fuga generale dopo neppure mezz’ora di spettacolo e Italia fuori dal circuito rock internazionale per anni. “Ancora oggi ricordo quei momenti convulsi con una certa tristezza” racconta Plant. “Al tempo avevo 23 anni e non capivo la contrapposizione fra pubblico e artisti, né di cosa ci accusassero. Tornato a casa dissi ai miei familiari: se suonare deve portare a questo, io smetto. Non amo, infatti, vedere la musica costretta a nascondere problemi sociali e politici. John Bonham venne a casa mia per convincermi a tornare sui miei passi ricordandomi che andavamo in scena per rendere felice i nostri coetanei”.

Altra epoca, altro mondo. “Scavallata la vetta dell’epopea rock col passaggio dagli anni Settanta agli Ottanta e ai Novanta, discografia e impresariato si sono buttati a scommettere su quale sarebbe stata la prossima moda, trasformando in business ciò che fino a quel momento era stata solo la ricerca di un’emozione condivisa”. Da qui il bisogno per Plant di tirarsi fuori dal circo e percorrere strade lontane dai kolossal in cui a più riprese lo showbiz ha tentato di coinvolgerlo mettendo sul piatto milioni di dollari e proposte di fantasmagorici “reunion tour” rispedite al mittente, accettando di ritrovarsi pubblicamente con gli ex compagni solo in occasioni davvero speciali come il Live Aid del 1985 o l’Ahmet Ertegün Tribute Concert alla O2 Arena di Londra del 2007 in memoria del fondatore dell’etichetta Atlantic (e primo mentore della band).

“Suonare in posti come Timbuktu o il deserto del Marocco, è stato spettacolare - ricorda - ma chi fa questo mestiere rimane indelebilmente segnato dalla prima volta che canta davanti ad un pubblico; a me è accaduto all’età 15 anni con il gruppo della scuola. È stata quella, infatti, la prima volta che mi sono detto: wow, voglio fare questo nella vita. Sono ossessionato dalla storia della musica popolare come un professore innamorato della sua materia d’insegnamento e quando mi trovo a viverla in posti come Memphis, il Mississippi, sento che quello è il mio sangue. Ecco perché sul palco tutta questa passione mi torna fuori. A me interessa solo fare la musica che mi piace, avere indietro buone vibrazioni da chi mi ascolta. Quando ho incontrato Jefferson, Kelsey e Worley ho ritrovato la voglia e la grazia di fare musica, per questo voglio restituirne indietro finché posso”.

La grazia di cui parla Robert è quella delle origini, di quelle radici cui ha dedicato la sua vita d’artista. “Certe notti siamo più blues, altre più folk, dipende dagli umori nostri, del pubblico, dall’elettricità che si respira nell’aria. Non mi nego, però, la possibilità di attingere qualcosa dall’età d’oro del rock perché, in fondo, io c’ero”. Si riferisce a cose dei Led Zep quali “Four sticks”, “Black dog”, “Friends” e “The rain songs” che affiorano talora qua e là nelle scalette del tour. “C’è stato un tempo in cui la gloria de rock è stata salvifica, poi però è evaporata come quella di molti suoi protagonisti. Peccato, certo. Ma io non amo guardarmi alle spalle. E Suzi Dian ha una voce magnifica, mi piace cantare con lei”.