Milano, 3 maggio 2024 – Un bambino scalzo, una strana cartella di legno e una notte di veglia tra sogno e realtà. Quando il piccolo Camillo entra nello studio di casa Facchinetti, a Bergamo, Roby non lo riconosce. Quel bambino, che gli chiede del suo passato e lo obbliga a fare i conti con la sua lunga carriera, è proprio lui: 75 anni prima. Inizia così “Che spettacolo è la vita”, l’autobiografia del compositore, tastierista e cantante dei Pooh che, a 80 anni appena compiuti, si racconta nella certezza che la strada è ancora lunga. Lo attendono a giugno una tournée con i Pooh e a fine 2024 l’uscita di “Parsifal”, che si potrà ascoltare, leggere e vedere al cinema. Intanto, per non annoiarsi, Facchinetti è già in tour (solista) per presentare il suo libro.
Lei non riesce proprio a star fermo, a casa non ci sta mai?
"In effetti ho passato più tempo con i miei compagni, Dodi, Red e con gli amati Stefano e Valerio, che con la mia famiglia. E questo è un rimpianto che mi porto dentro, anche se quando sono nati i miei figli c’ero sempre".
Ma non resiste al richiamo della musica. Da bambino lasciava i compagni a metà partita di pallone per correre a lezione di pianoforte.
"È così. Per me la musica è tutto, non potrei privarmene. Lo aveva capito mia mamma, pure lei amante della musica e figlia di un direttore di coro, quando a 7 anni mi mandò a lezione dal maestro Ravasio, un’istituzione a quei tempi a Bergamo. E lo sa mia moglie Giovanna: lei ha sposato Roby, ma non trattiene a casa il pianista dei Pooh. È questo il segreto della nostra unione".
Chi comanda in casa Facchinetti?
"Mia moglie, ovviamente (ride, ndr) e ne sono felice. Come a casa dei miei ha sempre comandato mia mamma".
Torniamo alla sua infanzia. Cosa è rimasto di Camillo, quel bambino che correva a scuola con la cartella di legno?
"Camillo è sempre dentro di me, sono i valori che la mia famiglia mi ha insegnato: faticare per un obiettivo. Il mantra ‘non accontentarti mai’ mi ha accompagnato per tutta la vita e credo sia stata una delle chiavi del mio successo".
Quando Camillo è diventato Roby?
"Quando ho iniziato a fare musica in modo professionale, Camillo non era musicale. In quel periodo andavano i diminutivi anglofoni: tra i vari Tony e Ricky io ho preferito Roby".
E la cartella di legno che fine ha fatto?
"L’ho conservata, l’aveva costruita mio padre ma la maestra chiese alla mamma che non la portassi a scuola perché faceva troppo rumore. Ci rimasi male".
A proposito di delusioni, tra tanti successi ha anche qualche rimpianto?
"Professionalmente ho il rimpianto di non aver partecipato con i Pooh all’Eurovision del 1990, dopo la vittoria a Sanremo. Eravamo in tour e forse non ci credevamo fino in fondo, così abbiamo ceduto il posto al secondo classificato, Toto Cutugno, che vinse e portò la sua musica fuori dall’Italia. Umanamente ho il rimpianto di non essere stato molto presente a casa".
Dopo la morte di Valerio Negrini , il paroliere dei Pooh, ha attraversato un periodo di depressione: come ne è uscito?
"Ricorrendo all’aiuto di un esperto: non se ne esce da soli. Non mi rassegnavo all’idea di non poter vedere più Valerio. Lo stesso è successo quando se ne è andato Stefano, ma in un certo senso mi ero già fatto gli anticorpi".
L’anno scorso lei ha subito una rapina violenta in casa a Bergamo, ha mai pensato di lasciare la sua terra?
"No, ma ho conosciuto il terrore vero e non ho più dimenticato quei 45 minuti con la pistola puntata addosso".
Qual è il segreto della longevità dei Pooh?
"Le famose tre regole di ogni band che voglia durare: amicizia, amore per la musica e rispetto reciproco. La squadra deve prevalere sul singolo".
Ha mai pensato a una carriera da solista?
"Ho avuto le mie soddisfazioni anche come solista, ma i Pooh sono una storia troppo grande per metterla da parte".
A 80 anni ha più vitalità di un ventenne, come fa?
"Basta non smettere mai di sognare e non cadere nella trappola dell’età. Ho quattro progetti, tra cui uno teatrale. E intendo realizzarli tutti".