![Renato Carpentieri Renato Carpentieri](https://www.ilgiorno.it/image-service/view/acePublic/alias/contentid/NWY2Y2NkYWItNGQ4OS00/0/sarabanda-ando-ripensa-bergman-giostra-della-vita-e-dei-sentimenti.webp?f=16%3A9&q=1&w=1280)
Renato Carpentieri
È successo tanto tempo fa, sussurra Johan. "Ma fa ancora male", risponde Marianne. Che certe ferite faticano a rimarginarsi. O forse è un piacere sottile andare a disturbarle con il dito, scatenare dolori e sensi di colpa intorno a quell’antica tristezza. Ai tradimenti e alle menzogne. Pure a trent’anni di distanza. In "Sarabanda" Bergman decise infatti di riannodare i fili rimasti sospesi con "Scene da un matrimonio". Andando a comporre un vero e proprio sequel con gli stessi interpreti (Liv Ullmann ed Erland Josephson) e gli stessi orizzonti. Chissà poi perché. Considerando che già durante la realizzazione ripeteva che sarebbe stato il suo ultimo film. Evidentemente era legato a quei personaggi così vivi e così veri. Tanto da rispolverarli in un progetto digitale, sostenuto all’epoca da quattro televisioni europee, fra cui la Rai. Che tuttavia lo trasmise poi solo in tarda notte dentro Fuori Orario, l’anno successivo, nel 2004. Dettagli da cinefili. Certo rimane un testo feroce. E dalla matrice profondamente drammaturgica. Non sorprende allora ritrovarlo al Piccolo Teatro Strehler, dal 18 al 23 febbraio per la regia di Roberto Andò. Che come al solito torna immediatamente al palcoscenico una volta concluse le sue fughe cinematografiche. Qui con uno spettacolo sontuoso, a partire dal cast: Renato Carpentieri, Alvia Reale, Elia Schilton e Caterina Tieghi. Loro a dar vita a un girotondo di duetti. Una danza. Suddivisa in dieci scene. Intense e severe come la suite di Bach da cui lo spettacolo prende il nome. Un carillon spigoloso. Che muove dall’incontro fra Marianne e Johan. Ma che arriva presto a concentrarsi sul rapporto fra generazioni. E sul legame morboso che lega Henrik (figlio di Johan) con sua figlia Karin, giovane e promettente violoncellista. "È un testo scomodo nella sua cruda onestà – sottolinea Andò – ma il cui vero messaggio non è affidato alle parole, ma ai silenzi e ai gesti: alla tenerezza di un abbraccio, di un tenersi per mano, di un denudarsi accettando di rivelare l’uno all’altro la fragilità di corpi segnati dal tempo e dal peso di vivere. Bergman non sembra credere più a nulla, è disperatamente distruttivo, e incatena i propri personaggi a un pessimismo totale sul senso delle relazioni umane". Sì, c’è un livello di realtà abbastanza spietato nell’originale. Anche se in fondo i protagonisti sembrano non fare altro che cercare una qualche forma d’amore. Diego Vincenti