
Federico Iris Osmo Tinelli porta al Beltrade il suo “Filmix“. "Alla consolle sono meno ortodosso, porto gioia"
Cinema sperimentale? Sì, grazie: nelle sale e in tv, senza dover attendere le nottate di Fuori Orario. Perciò giovedì 13 alle 22 vale la pena fare un giro al Beltrade per "Filmix", ultimo progetto del regista milanese Federico Iris Osmo Tinelli. Cinquant’anni di ricerca la sua. Qui indaga con stile un territorio ibrido fra il cinema tradizionale e le superclip che documentano i dj-set e le loro location. Trionfo di droni e di bellezza. Con l’azione (priva di parole) accolta dalle cime delle Grigne. E affidata ai corpi di Laura Malnati e Roberto Stile.
Federico, le immagini di Filmix sono straordinarie. "La Grigna è un luogo che frequento da anni. A lungo ho evitato di riprendere la montagna: era come se percepissi qualcosa di sacro, per me che sono un alpinista. Poi all’improvviso il mio sguardo è mutato, ho desiderato fosse al centro del progetto. E così siamo saliti per i sentieri con 15 chili di attrezzature a testa, per trovarci in questo grandioso anfiteatro del creato".
Perché i continui rimandi al cinema di Kubrick? "Nelle sue opere c’è quasi sempre un personaggio tendente all’atarassico, che non si riconosce nelle categorie dell’umano. La violenza di Alex in Arancia meccanica, il Dottor Stranamore che sgancia la bomba: non sono azioni dettate dalla cattiveria, solo da una natura diversa. La montagna, che è un personaggio a tutti gli effetti in “Filmix“, per me rappresenta molto di questo mondo kubrickiano: la vastità, il rapporto con la vertigine, la presenza di una forza potente e impersonale".
L’assenza di parola? "Faccio cinema sperimentale, in questo caso mi interessava indagare quella che Godard chiama sceneggiatura dispositivo, dove il film si definisce nel suo farsi. Avevo inoltre il desiderio di porre al centro la musica, altra mia passione insieme al cinema e alla montagna. È la prima volta che le unisco in un unico progetto. Mi sono affidato ai due interpreti, ai loro corpi, alle loro scelte. Con la convinzione che poi le cose accadono. Così è stato: sono i prodigi della creatività, che vanno oltre le aspettative. Ma non è detto che sia sempre così, anche rispetto alla parola. Alcuni miei film sono logorroici".
Le piacerebbe avere un successo più mainestream? "No, sono cresciuto in un ambiente intellettuale, desidero lavorare nella ricerca e sono fedele alla linea. Come dj invece sono più morbido, un ambasciatore della gioia, la Farnesina dovrebbe chiamarmi, sono in grado di fare abbracciare tutti. E mi piace trovare legami non solo musicali tra il Novecento e i millennial. Un tema che sto approfondendo anche con una serie tv: dieci puntate da 25 minuti. Sempre che si trovino risorse".
La ricerca non paga? "Il progetto è faraonico. Certo la vita costa, nonostante uno faccia vita da monaco".
Ma come definirebbe il suo lavoro? "Troppo ludico per la serietà, sufficientemente profondo da non rimproverarmi la superficialità".
Come sarà al Beltrade? "Sala piena e qualche momento di vera comunanza con gli spettatori, quando entri in risonanza con qualcosa".
Che legame ha con Milano? "Nel mio cinema è assente, i luoghi sono sfocati. E a volte, se vedi ad esempio “La notte“ di Antonioni, ti domandi cosa mai potresti aggiungere a questa città. Ma forse un giorno sarà invece al centro di un progetto. Come è successo con la mia montagna".