Storie di donne fra amore e dolore

Donne. Fragili e forti. Capaci di saper fare bene i conti con i sentimenti e le emozioni, di testimoniare quella “intelligenza del cuore” che connota le persone migliori, generose nel dire e dare di sé anche nei momenti più difficili del dolore di ANTONIO CALABRO'

Milano, 28 febbraio 2016 - Donne. Fragili e forti. Capaci di saper fare bene i conti con i sentimenti e le emozioni, di testimoniare quella “intelligenza del cuore” che connota le persone migliori, generose nel dire e dare di sé anche nei momenti più difficili del dolore. Donne che amano e soffrono e, nonostante tutto, sorridono. E vanno. Come Irina, la protagonista di “Mi sa che fuori è primavera” di Concita De Gregorio, Feltrinelli, “un’opera romanzesca che ha tratto ispirazione da fatti realmente accaduti”. Fa l’avvocato, in una multinazionale. Italiana. Vive in Svizzera. Sposata, due bambine gemelle. Una condizione apparentemente felice, serena. Ma con una crepa. Che via via s’allarga, sino a sconquassare la vita. Perché Mathias, il marito, si rivela “psicorigido”, violento nella quotidiana persecuzione con maniacali prescrizioni. E poi, improvvisamente, dopo la separazione, prende le bambine e scompare. Si ucciderà, dopo cinque giorni di fuga. E delle gemelle, Alessia e Livia, non si troverà mai più traccia. Inutili le ricerche che Irina pretende siano compiute dalla polizia svizzera, che mostra, dietro una scandalosa incompetenza, il suo volto maschilista e razzista. Inutili, le ricerche di notizie presso la famiglia di lui, la scuola, le assistenti sociali. Irina non smette comunque di lottare e cercare. E nelle pagine intense di questo libro, che Concita De Gregorio scrive con esemplare senso della misura e del rispetto e con linguaggio essenziale e dunque luminoso, c’è tutta la sostanza d’una straordinaria storia d’amore. Per un uomo, con cui provare a ricominciare a vivere. E per le figlie: “Solo l’amore per un figlio è amore, quello vero. E credo che solo quell’amore lì, l’amore per i figli, abbia un suono. Quando li guardi e ti guardano… riesci a sentirlo. Una specie di onda remota, magnetica. Come se un arco invisibile suonasse una viola che non c’è”.

Cercare,voler capire, non rassegnarsi. E vivere, drammaticamente, l’attesa, “perché sa, giudice, l’attesa delle persone amate non è una pausa: è un lavoro incessante, una fatica mostruosa, una lotta contro il peggiore dei pensieri. È uno spazio che si riempie di mostri e ti sorprende alle spalle”. Poi, comunque, si va avanti. L’incrocio di storie d’amore domina anche le pagine di Piccoli colpi di fortuna” di Claudia Piñeiro, Feltrinelli. Nessuna trama noir (di cui la Piñeiro s’è rivelata maestra). Ma il ritorno d’una donna da Boston nella provincia argentina da cui era fuggita, per cercare di non fare pagare al figlio la condanna sociale d’una disgrazia (la morte d’un bambino, in un’auto, a un passaggio a livello). Ritornare, rimemorare, rivivere luoghi e parole imparate a memoria o, come si dice in inglese, by heart. Amando e contraddicendo la struggente musica di Oscar Piazzolla, Oblivion. Come dimenticarsi, d’altronde, d’un grande amore? “Un giorno passerà, mi disse Mapplethorpe, non certo il ricordo, e neppure il dolore, quello rimane per sempre, ma farà un po’ meno male”. Amore come ferita, cicatrice. Distanza. E guarigione. Lo sperimenta Bianca, protagonista di “Una storia quasi perfetta” di Mariapia Veladiano, Guanda, vittima d’un Don Giovanni rapace, che la seduce per impossessarsi dei suoi straordinari progetti di design. E lo sa bene Gabriela, in “Storia di una maestra” di Josefina Aldecoa, Sellerio: gli ideali, le illusioni, le passioni della Spagna della Repubblica, sconfitta da Franco ma non battuta nell’orgoglio del ricordo. Di cui una donna vera e forte si rivela custode e abile narratrice. Anche raccontare, d’altronde, è un atto d’amore.