Milano, 23 aprile 2017 - Però, che gambe, chi l’avrebbe mai detto! Nel registrare il prezzo di copertina (euro 16,90) di “Un battito d’ali” (Mondadori), il libraio nota il ritratto dell’autrice Sveva Casati Modignani fotografata di recente da Giovanni Gastel.
Il commento, Sveva, la lusinga?
«Preferirei fosse ammirato il contenuto del libro. Comunque, è vero, le mie gambe non patiscono i danni dell’età».
Per la stessa grazia era chiamata «signorina Saltaruscelli»?
«Mi avevano battezzato così perché non stavo mai ferma, passavo dal telefono alla macchina per scrivere, all’archivio, seminando il caos: una segretaria disastrosa, e frustrata. Il mio primo lavoro. Alle dipendenze di un rappresentante di materie prime per la fabbricazione della birra. Avevo lasciato gli studi umanistici perché in famiglia servivano soldi».
«Caro papà», l’inizio di quasi tutti i capitoli di quest’ultima Recherche. Memorie sempre taciute al genitore scomparso. Il suo nome?
«È nell’episodio dell’incontro con Angelo Rizzoli. A tu per tu, salendo in ascensore per andare in redazione: Buongiorno, commendatore, lo salutai. E lui: lei chi è? Bice Cairati, risposi. Di...? Achille, mio padre si chiama Achille. Allora il Cumenda brontolò: volevo sapere in quale giornale lavora».
Facile, cinquant’anni fa, trovare e cambiare lavoro?
«Sì, dalla ditta di rappresentanza commerciale passai in via Manzoni, alla galleria di uno dei più famosi mercanti d’arte del tempo, Carlo Cardazzo».
Un’opera significativa?
«Un cartoncino bianco con tanti puntini rossi, neri, gialli, marroni. Una galassia di stelle composta per me. La tengo appesa al muro. Alzando lo sguardo, mentre scrivo, vi cerco ancora l’anima dell’autore, il giovane Tancredi Parmeggiani. Afflitto dalla depressione, si sarebbe presto suicidato».
Quando il giornalismo?
«Alla galleria fui messa alla porta, come tutte le segretarie giovani e carine, dalla gelosia di Milena Milani, compagna del titolare, con cui mi aveva visto bere il tè. Ex-bellissima, una liaison con Mussolini. Scrittrice riverita dai giornali, creatrice di piastrelle artistiche a Savona, dove le era fatto recapitare un “assegno di mantenimento” che era tre volte il mio stipendio (in nero). Così trovai la possibilità di fare quello che desideravo da sempre, prima a “La Notte” diretta da Nutrizio, poi a “Lo Specchio”, che spiava la dolce vita meneghina, poi a “Grand Hotel di Rizzoli”, bottega di fotoromanzi: la verità è che amo raccontare solo storie di altri»
. Oltre a scoramenti e delusioni, quali altre storie personali ha nascosto a suo padre?
«L’avventura nella Repubblica democratica del Congo, dove mi avevano spedito a fare un servizio per “Annabella” su un concorso di miss. E dove l’antropofagia non era estinta. Come sperimentai in una cena di gala».
Torniamo a quell’Italia felice, capace di sorridere per un niente, e ora meno segreta nella sua colorata Comedie. Un nome per tutti?
«Enzo Jannacci, travolgente e delizioso Nel parco di Salice Terme mi prese una mano portandosela alle labbra: fèm un ballett? Rimpiango ancora di aver liberato la mia mano dalla sua, e non aver ballato con lui».