
The Kolors ospiti della redazione de Il Giorno
Milano, 10 marzo 2018 - «È andata meglio di quanto ci aspettassimo», assicurava un febbricitante Antonio “Stash” Fiordispino ieri nella redazione del Giorno parlando del debutto a Sanremo di The Kolors con “Frida (mai, mai, mai)”. «Affrontare per la prima volta il palco più prestigioso d’Italia con un ingrediente nuovo, che paradossalmente è la nostra lingua, ci ha spinto andare con i piedi di piombo. Ma la vicinanza del pubblico, della signora che incontro quando vado a fare la spesa o del barista sotto casa, alla ricerca di una canzone dei Kolors da cantare dall’inizio alla fine, ci ha dato sicurezza».
Grossa novità per voi cantare in italiano.
«L’inglese, con le tronche, è più predisposto al funk, mentre l’italiano alla melodia. E invece a Sanremo, fin dalla prima esibizione ci siamo trovati un mare di fan che cantavano quel “mai, mai, mai” come un tempo avveniva con l’ ‘uo-o-o-o’ di “Everything”. Siamo andati al Festival senza snaturarci e questo è ciò che conta. Abbiamo dimostrato di saper pure suonare e questo non è scontato per una band che viene dal talent come noi, ma la gavetta in un locale di Milano come “Le scimmie”, dove suonavamo tutte le sere per mezza birra, ci è servita tantissimo».
Soddisfatti?
«Finalmente s’è aggiunto quell’ingrediente che mancava alla nostra musica. Finora non avevo cantato in Italiano perché la nostra lingua mi faceva sentire un po’ in gabbia. È stato J-Ax chiedendomi d’interpretare “Assenzio” a farmi capire che si poteva fare. Abbiamo allargato i nostri orizzonti e questo ci regala una presa più rapida sul pubblico del pop consentendo alla nonna come alla nipotina di cantare una canzone di The Kolors».
Vi aspettavate di andare al Festival?
«Quando ad agosto abbiamo scritto “Frida” non pensavamo proprio a Sanremo. Se entri nell’ottica del “voglio andare al Festival” finisci comunque per farti condizionare un po’. Noi abbiamo presentato “Frida”, ma un nostro collaboratore ha sottoposto a Baglioni pure un altro pezzo. Lui ha detto che gli piacevano entrambi lasciandoci la scelta».
Come nasce una canzone?
«Devo ringraziare lui, lo smartphone, che ha un microfono dalla compressione fantastica e mi consente a volte addirittura di registrare dei cantati che poi metterò nel disco. Posso fermare le mie idee musicali addirittura mentre sono fermo nel traffico sulla circonvallazione, com’è accaduto per “Everytime”. Poi vado a casa, imbastisco un demo e lo sottopongo ai compagni. Lì per lì ci scorniamo, perché ognuno ha la sua visione, poi iniziamo a confrontarci».
Dario, il vostro bassista, entrerà mai in formazione?
«Lo consideriamo un fratello. Al momento l’abbiamo coinvolto nel live, vedremo quel che accade».
Stasera siete in concerto al Tunnel, lunedì all’Hiroshima Mon Amour di Torino.
«Abbiamo voluto toccare col tour posti più piccoli rispetto agli abituali per eliminare ogni barriera e coinvolgere il pubblico, farlo entrare nella performance».