
Concetto Tamburello in mostra allo studio di Piero Manzoni con una decina di suoi acrilici
Aprì il ’68 con un gesto talmente temerario (contestò il mito dell’Accademia di Brera scrivendo su questo giornale della inutilità di quel diploma), da mandare in bestia il suo insegnante di pittura, Domenico Cantatore, il quale, pur riconoscendolo come allievo prediletto, lo afferrò per la gola quasi strozzandolo: "Ti aggiusto io! Cosa vai a dire sui giornali!". Mancavano due mesi al maggio francese, quando il ventenne Concetto Tamburello, spirito inquieto e una folta barba nera alla Segantini, scappato di casa nel ’65 dopo aver preso il diploma al liceo artistico di Palermo per iscriversi appunto all’istituto milanese, sbottò contro l’inadeguatezza di quei programmi e la loro chiusura al mondo vivo dell’arte. La rivolta gli costò la cacciata dal tempio, e a livello nazionale esplose il “caso Tamburello”.
"A quel tempo - ricorda l’ex ribelle -, l’Accademia non si occupava di noi giovani: gli insegnanti non si vedevano mai, li rimpiazzavano gli assistenti. Non venivano artisti a parlarci, perché nessuno li chiamava, e tra noi allievi non c’era dialogo: trattati come scolari, diffidavamo l’uno dell’altro". Ma oggi il protagonista della clamorosa protesta, da tempo artista di fama internazionale, ritorna nel quartiere di Brera per una mostra in via Fiori Chiari 16, allo studio che fu di Piero Manzoni, oggi studio Zecchillo. Alle pareti, una decina di acrilici che bene illustrano la “pittura enigmatica” di un artista di straordinaria versatilità che, pur attraverso tecniche espressive tra loro assai lontane, quali la ceramica, il mosaico e le incisioni, assume infine un linguaggio simbolicamente unitario: quello appunto della enigmaticità dell’esistenza, stretta tra natura e spiritualità. Un artista, Tamburello, fuori da ogni corrente e ogni scuola, il cui obiettivo - scrive lo storico e critico d’arte Gérard-Georges Lemaire - è di "offrire all’opera una dignità che trova le sue radici nel passato ma che si esprime grazie a una modalità moderna".
Incontriamo Tamburello nel suo grande studio in corso San Gottardo, al quale si arriva lungo viottoli interni della vecchia Milano nascosta.
Lei è nato a Santo Stefano di Camastra, nel Messinese, detta “la città delle ceramiche”. Un inizio segnato?
"Forse sì, ma non con la ceramica: con il disegno. Imparai accanto a mio padre Carmelo, che faceva l’imbalsamatore e ogni volta aveva l’abitudine di buttar giù uno schizzo degli animali trattati. Mi ci misi anch’io. Avevo 11 anni, e quando lui capì che ci sapevo fare, mi iscrisse all’Istituto d’arte per la ceramica".
Quando i genitori assecondano il talento dei figli…
"Sì, ma più avanti avrei dato loro un dispiacere. Dopo il diploma a Palermo, decisi di scappare: mi piaceva Roma, ma a Milano c’era Brera. Nel ’65 scrissi una lettera a mia madre Orsola e presi il treno: con 4.500 lire in tasca, feci 23 ore in piedi in terza classe. Presi alloggio in una pensione di piazza Formentini con tre altri studenti in una camera".
Il quartiere di Brera negli anni difficili ma belli…
"Andavo a mangiare con poche lire dalle sorelle Pirovini o, con Usellini, da “mamma Lina” al bar Giamaica. Si giocava a carte e si scherzava: vi si trovavano Fontana, Dova, Crippa, Luciano Bianciardi… Quando fui espulso dall’Accademia, i soli che mi confortarono furono Luciano Minguzzi e la stessa “mamma Lina”, che mi offriva da mangiare e, lei che non usciva mai, veniva alle mie mostre. Lavoravo molto, la ferita dell’espulsione mi aveva spinto a un più forte impegno, e man mano mi si aprivano strade".
Poi venne quella americana…
"Nel ’79 mi trovavo a New York, quando lessi sul New York Times che un libro sul simbolismo della mia pittura curato da Franco Passoni, dedicato a mio padre, aveva vinto il Premio della cultura Campione d’Italia, presieduto da Eugenio Montale con Indro Montanelli, Davide Lajolo ed Enzo Biagi. La notizia fece scalpore. Preso dall’entusiasmo, aprii laggiù uno studio che avrei tenuto per una decina d’anni. Intanto ricevevo inviti su inviti, ed esposi fra l’altro a San Francisco. In quelle circostanze conobbi Franco Desideri, presidente della banca Merrill Lynch, un entusiasta che comprò alcune mie opere e mi presentò molte persone importanti, tra cui Mario Fratti, autore di Nine, musical di successo mondiale, che volle a sua volta i miei quadri".
"Tamburello fa rumore" scrissero i giornali all’epoca della sua contestazione. La diverte questo ricordo?
"I giochi di parole sono sempre divertenti, gliene racconto un altro. Nel ’67 fui invitato da Cantatore a una mostra di Orfeo Tamburi alla Galleria Cavour. Oltre a loro due, era presente anche Salvatore Quasimodo, che a un certo punto, vedendomi, disse sornione: “Manca Pifferi per fare un’orchestra”".
Il quartiere di Brera, Tamburello: oggi vi si può incontrare una “mamma Lina”?
"Brera era il nostro quartiere latino: c’erano pittori, musicisti, scrittori, poeti, artigiani. Oggi è scomparso, sembra una succursale di via Montenapoleone. Senza calore, senza ragione".
La zampata dell’ex ribelle.