In principio era Gué Pequeno. Che non è stato arrestato. Poi ecco Sfera Ebbasta. E anch'egli non è finito dietro le sbarre. Negli ultimi anni, però, spesso "trap" ha fatto rima con violenza, droga e carcere. Ma perché? E' davvero così? La trap è davvero la "musica del crimine" come sembra dagli ultimi fatti di cronaca? Ci sono due modi per vedere il fenomeno dei trapper: cercare di capirlo spogliandosi delle sovrastrutture che tutti noi boomer o quasi boomer abbiamo come pregiudizi nei confronti di questa musica e di questo sistema di valori o tenerci addosso la corazza e bollare questo mondo come superficiale, vuoto e criminale. Il secondo modo è certamente più comodo per "tenere il diverso fuori dalla porta", ma se si vuole davvero cercare di capire questo fenomeno che inevitabilmente fa parte della società italiana di oggi è necessario "sporcarsi le mani".
Le origini della trap
Parlavamo di Gué Pequeno. Già perché di fatto il primo album "trap", anche se in versione embrionale e pionieristica, è il suo "Ragazzo d'oro" datato 2011. E anche questo dimostra quanto l'ex Club Dogo sia insieme a Marracash il "golden boy" - ormai golden man, visti quarant'anni superati - della scena rap e hip hop italiana. Una trap che già aveva i tratti di quella che è poi salita alla ribalta in questi ultimi anni: sesso, droga e un accenno anche alla violenza. Un accenno, che peraltro in quel contesto trovava una collocazione anche se soltanto in parte visto che Gué Pequeno non proveniva di certo da una periferia duramente degradata. Ma le vere origini della trap, come è per l'hip hop, il rap, ma anche il pop, il soul, lo ska, il reggae, il rock e tanti altri generi musicali, non hanno radici in Italia. La trap nasce negli Stati Uniti. Nel sud degli Stati Uniti, precisamente. Erano gli anni Novanta e la parola "trap" stava cominciando a comparire nei testi di alcune canzoni di alcuni rapper "duri". Basti pensare a Ghetto Mafia, Cool Breeze e Dungeon Family. "Trap" come la "trappola" in cui si trasformava la vita degli spacciatori, ma soprattutto come "trap house", ovvero le case abbandonate nei ghetti di Atlanta dove si preparava e spacciava droga. Non una musica "acida", in stile rave, ma un nuovo genere che raccontava la vita degli spacciatori: ecco la trap music.
La trap in Italia
L'esperienza del 2011 di "Ragazzo d'oro" di Guè Pequeno ha di fatto aperto una breccia per l'ingresso della trap in Italia. A seguire sono stati Jesto nel 2012 e, soprattutto, Maruego nel 2014. Il successo del rapper italo-marocchino ha avuto un doppio significato: anzitutto la multiculturalità della società italiana anche nella musica e in secondo luogo un certo sdoganamento di questo genere musicale. Ma il vero boom della trap porta la firma di Sfera Ebbasta. Gionata Boschetti da Cinisello Balsamo a cavallo fra 2014 e 2015 ha pubblicato insieme al produttore Charlie Charles "XDVR", l'album che ha sancito ufficialmente l'esplosione della trap in Italia. In contemporanea, sulla scena romana ecco comparire la Dark Polo Gang. Successivi sono trapper come Ghali, che però nel giro di poco tempo è passato dalla trap pura al rap, Tedua, Capo Plaza, sino ad arrivare ai più recenti Rondo da Sosa, Neima Ezza, Baby Gang, Keta, Rhove, Paki. Quasi tutti fra Milano e zona.
I trapper arrestati
In principio fu Baby Gang: è probabilmente lui il più "famoso" fra i trapper arrestati. Una notorietà conquistata più con le vicende giudiziarie e le sparate senza senso come "Faccio video per Instagram dal carcere" che con i suoi brani. Insieme a lui, a finire nei guai era stato anche Neima Ezza, altro trapper "di seconda generazione". La musica non c'entra nulla. Anzi, musica, videoclip e social network sono soltanto dei canali per veicolare messaggi per la "propria gente" e contro i rivali. La trap vera e propria c'entra ben poco. Musica e cultura musicale con la criminalità e la nascita di faide fra bande c'entra ben poco. Anzi, la musica fa semplicemente da sfondo. Negli ultimi mesi gli arresti e le vicende di cronaca che hanno visto protagonisti diversi trapper si sono succeduti senza sosta: Baby Gang, Neima Ezza, Baby Touché, Simba La Rue, Traffik e Jordan sono gli ultimi in ordine di tempo. Per non parlare delle intemperanze, che non hanno portato a nessun reato va detto, del rhodense Rhove.
Cosa c'è dietro gli arresti dei trapper
Sgomberiamo il campo da ogni dubbio: non esiste un'equazione che spieghi scientificamente lo scenario dietro gli arresti dei trapper. Ogni realtà è differente. Così come non è possibile, non ce ne voglia il padre della criminologia italiana, applicare i criteri di Cesare Lombroso secondo i quali sarebbe possibile determinare l'attitudine di ognuno a commettere crimini semplicemente considerando alcuni parametri fisici. Teorie del tutto superate. Anche perché di mezzo ci sono innumerevoli elementi. Il che non vuol dire attribuire alibi a chi delinque, ma solo cercare di comprendere cosa sta accadendo. Anzitutto, c'è il tema della pandemia. Due anni di restrizioni hanno causato problemi agli adulti, strutturati e con interessi, e figuriamoci se non possono averlo fatto ai giovanissimi. La pandemia ha contribuito ad amplificare disagi e inquietudini. Il che, in alcuni soggetti, si è tramutato in scarsa tolleranza nei confronti di regole e imposizioni sociali. Questo ha a sua volta fatto nascere un'altra tendenza: la scelta di travalicare le regole proprio per farsi vedere sovversivi. E' un fenomeno che esiste da decenni, sia chiaro. Ma con i social network e la tecnologia tutto viene amplificato. Cosa significa? Che se prima le violazioni delle regole venivano conosciute da poche persone, ora chi supera i limiti può farlo sapere al mondo. Può farsi sentire dal mondo. Non solo. Ma proprio a causa di ciò che si può vedere sui social network, il divario fra ricchi e poveri è costantemente sotto gli occhi di tutti. Quella fame di raggiungere successo e benessere, quindi, può diventare un'ossessione di avere tutto e subito. Di avere subito tutto quello che si vede, di avere più dei propri rivali. E di poterlo mostrare. Altro aspetto da considerare è quello delle periferie. Molte sono diventate dormitori, zone in cui non esiste una vera comunità. Zone in cui chi ha origini straniere non viene integrato, perché a volte non ci sono comunità in cui integrarsi.