
La regista Cinzia Th Torrini
Un successo dietro l'altro. Da "Elisa di Rivombrosa" a "Fino all'ultimo battito", passando per "Donna detective", "Terra ribelle", "Un'altra vita", "Sorelle" e "Pezzi unici". Cinzia Th Torrini è una delle registe della fiction italiana con il maggior numero di "galloni" sulle spalle. Cinzia, esiste una ricetta per questi successi? "Anzitutto lo studio. All'accademia di cinema in cinque anni ho imparato a fare tutto e a conoscere ogni aspetto di questo mestiere. Questo mi dà la possibilità di poter pretendere il massimo dai miei collaboratori. Un altro aspetto fondamentale nel mio lavoro è che non mollo mai, la tensione rimane alta fino all'ultimo giorno di modifica dell'ultimo dettaglio. Quello del mix, ad esempio, è il momento in cui rimetto insieme i pezzi e rimescolo le emozioni di tutto il girato". Si può dire quindi che sia una rompiscatole? "Sì, sono una perfezionista (ride, ndr). Mi occupo di un progetto alla volta perché non voglio avere nulla intorno che mi possa distrarre. Ho la necessità di creare, ma poi ho anche l'esigenza di ricostruire me stessa perché questo è un lavoro che mi prova tanto". Sul set la si vede spesso mangiare... "Sì, se non mangio finisco tutte le energie e divento anche cattiva (ride, ndr). La mia borsa è come quella di Eta Beta, contiene di tutto. Ho un'amica che mi regala le mele dei suoi alberi e io immancabilmente le porto sul set". "Fino all'ultimo battito", fiction in onda ogni giovedì sera su Raiuno, sta avendo un notevole successo. Eppure tratta temi non certo semplici da affrontare... "La storia di "Fino all'ultimo battito" non è mia, me l'ha proposta Luca Barbareschi. Non gli ho detto subito di sì, proprio perché non è una storia facile da trattatre. Ho continuato a rifiutare per diversi mesi, poi ho riflettuto e quando ho risposto affermativamente... siamo entrati in lockdown. Paradossalmente questa situazione mi ha permesso di farmi fare "su misura" alcuni step emozionali della storia da parte degli sceneggiatori". La sua notorietà al grande pubblico è cominciata con Elisa di Rivombrosa, fiction che ha segnato un cambio di passo nel panorama delle fiction in Italia. Si aspettava tutto questo successo? "Assolutamente no. Quando me l'hanno proposta, non volevo accettare. Il mio lavoro deve sempre avere una mission, un messaggio sociale di fondo. Io trovato "Elisa di Rivombrosa" una soap che non comunicava niente. Poi invece, riflettendoci anche con il mio compagno, ho iniziato a vederla in un altro modo e a capire che in fondo è l'amore che muove tutto e che sta dietro ogni cosa. Quindi ho accettato. La cosa veramente mia in questa fiction è stato cercare e ottenere la possibilità di girarla in Italia. Non aveva senso farla in Irlanda con attori italiani. Ricordo poi che il capo delle fiction di Mediaset di allora voleva che si intitolasse solo "Elisa". Io invece ho lottato per inserire anche "di Rivombrosa" e questa scelta si è rivelata vincente". Da "Elisa di Rivombrosa" a "Fino all'ultimo battito" sono passati 18 anni. Si è passati da un momento di esaltazione totale dei prodotti americani a una rivalutazione delle fiction italiane. Cosa è cambiato?" "Lo storytelling. La fiction ha un ruolo importantissimo in Italia, perché racconta il mondo di chi la guarda e insegna al pubblico delle cose, ha quasi preso il posto dei grandi classici della letteratura. Ma anche all'estero i nostri prodotti vengono apprezzati perché permetteono di conoscere la nostra cultura". Già, la fiction come cultura... "Assolutamente. Il mio primo lavoro in costume è stato "Piccolo mondo antico" basato sull'opera di Fogazzaro. Angelo Rizzoli mi aveva dato una settimana di riprese in più, ma io l'ho barattata con un cambio di location: ho preferito lavorare con tempi più ristretti ma fare le riprese in Italia, sui luoghi di Fogazzaro, piuttosto che in Bulgaria dove le location non erano altrettanto emozionanti per il testo".