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Alessandro Grassani offre il suo “sguardo“ al Diocesano: in mostra 40 foto sui luoghi meno abitabili del pianeta .
Voleva "dare un volto" ai cambiamenti climatici. Ai migranti ambientali. Raccontare chi sono le prime vittime. Così, ha preso la sua macchina fotografica ed è andato in Mongolia, Bangladesh, Kenya e Haiti, passando dall’estremo freddo sino alle zone più aride del pianeta e a quelle dove l’innalzamento dei mari sta rendendo la vita difficile. Per raccontare, in immagini, le vicissitudini di chi è costretto a lasciare le terre dei loro antenati per gli effetti "devastanti" dei cambiamenti del clima. Per finire in megalopoli e vivere ai margini, in baracche.
Alessandro Grassani propone storie che spingono ad "aprire gli occhi", allestite in mostra (Emergenza climatica. Un viaggio ai confini del mondo, sino al 27 aprile) al Museo Diocesano Carlo Maria Martini, che grazie alla sua direttrice Nadia Righi, si conferma un polo della fotografia nel panorama museale milanese. Sotto la curatela di Denis Curti, l’esposizione presenta una quarantina di foto, un progetto articolato in quattro capitoli, tante quante sono state le sue destinazioni di viaggio. "Alessandro Grassani è un costruttore di realtà", dice Curti, "uno sciamano contemporaneo che usa la fotografia come un grande talismano".
La crisi climatica è un "territorio molto presidiato dai fotografi, da Salgado ad Edward Burtynsky, sino ad arrivare a David LaChapelle. Ma il tema del racconto della crisi climatica si scontra con le fake news, paradossalmente più potenti delle immagini, in generale. Grassani ti fa sentire più vicino alla verità".
Così, in Mongolia, si accosta ad una famiglia di pastori, "che per via degli dzud, gli inverni sempre più rigidi, e dopo avere perso un centinaio di pecore, migrano, costretti, verso la capitale Ulaanbaatar, dove vivono in un sottoscala, in estrema poverta. La Mongolia è tre volte più grande della Francia, la metà dei suoi 3,5 miloni di abitanti vive nella capitale".
In Kenya, all’opposto, nel Turkana, la più arida del Corno d’Africa, si combatte fra pastori delle piccole tribù per il controllo delle risorse idriche, spesso solo pozze d’acqua. "Ho scoperto una fossa comune, raccolto la storia di Rose Juma, 34 anni, costretta con il marito a lasciare il villaggio per sottrarsi alla sanguinose vendette tribali", conclude Grassani che dal 2011 collabora con il New Yok Times, il suo lavoro viene pubblicato anche da Cnn e Time. Da vedere. Per riflettere.