DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Le "Variazioni Goldberg" di Tabori. La Bibbia in agrodolce salsa yiddish

Da giovedì Micheletto porta in scena l’interpretazione delle Sacre Scritture

Luca Micheletti

Milano, 3 novembre 2016 - A qualcuno verrà in mente il capolavoro di Bach. Quello scoglio su cui molti pianisti hanno sbattuto la testa, non riuscendone a interpretare l’enorme complessità. E che altri hanno reso invece un apice della propria carriera, come la storica registrazione del 1955 di un giovanissimo Glenn Gould. Ma qui niente musica. “Le variazioni Goldberg” è in questo caso il titolo dell’opera più famosa di George Tabori, ebreo ungherese dal talento multiforme. E relativamente poco conosciuto.

Ne è un esempio il fatto che il dramma non sia mai stato portato in scena in Italia, forse anche per la sua natura spigolosa, politicamente scorretta, acidissima. Insomma, ci vuole una certa dose di convinzione (e visionarietà) per avvicinarlo. Come per primo fece addirittura Bergman negli Anni Novanta. Così, giusto ad aggiungere paragoni che farebbero tremare le ginocchia. Evidentemente non a Luca Micheletti, giovane attore e regista su cui il Franco Parenti molto sta investendo. Tanto da affidargli la nuova produzione “Le variazioni Goldberg”, da stasera una prima assoluta con in scena lo stesso Micheletti affiancato da Marcella Romei, Michele Nani, Pietro De Pascalis, Claudia Scaravonati e Barbara Costa, oltre a Rossella Spinosa al pianoforte. Un “divertissement” dalla feroce comicità yiddish. Un teatro della crudeltà e dell’assurdo che Tabori calò all’interno di un futuro post-atomico. Siamo a Gerusalemme. E una compagnia di attori ha la bella idea di portare sul palco la Bibbia. Da qui una rapida esasperazione di toni e simboli, risalendo alle origini dell’identità religiosa e morale dell’Occidente. Confrontandosi con i rischi (e i paradossi) del prendere alla lettera il testo sacro.

«Si parte da una domanda apparentemente immediata – spiega il regista –: come interpretare il testo sacro? Il verbo chiama in causa il teatro stesso, per sua natura terreno d’indagine d’ogni possibile interpretazione: ed ecco nascere un “gran teatro del mondo”, in salsa yiddish. Tabori, infatti, era ebreo; e il testo è espressione di un rapporto con la divinità molto conflittuale, che interpella, problematizza, mette in discussione, tipico dell’ebraismo. Lo stesso nome di “Goldberg” è qui scelto perché emblematicamente evocativo di un’onomastica ebraica; mentre le “variazioni” sono le mille possibili interpretazioni di un tema: quello della fede in Dio e della ricerca di sé». Infiniti i rimandi, le citazioni. In bilico fra pensiero colto e gusto pop. Esperimento interessante. Sarà curioso capire come Micheletti riuscirà a venirne a capo. Nel frattempo il Franco Parenti propone una serie di incontri per approfondire autore e tematiche. A partire da domani alle 18 con Hermann Beil del Berliner Ensemble, introdotto da Marco Castellari.

Da oggi al 13 novembre al Teatro Franco Parenti, in via Pier Lombardo 14. Biglietti 15/12 euro, info: 02.59995206.