DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Violante Placido, l’attrice torna a teatro in ‘1984’ di Orwell: “Cerco sempre di essere libera”

Sul palco insieme a Ninni Bruschetta e Woody Neri, per dar vita a un frammento del nostro immaginario collettivo. A raccontare di una rigidissima dittatura tecnologica che rimanda a un presente di algoritmi e sorveglianza

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Da stasera aa domenica Violante Placido è a Milano con “1984” di Orwell per la regia di Giancarlo Nicoletti

Milano – Ha sempre qualcosa della ragazza della porta accanto. Ma con un luccichio di libertà inquieta negli occhi. Forse è semplicemente la distanza fra l’aver interpretato Jack Frusciante e poi Moana. Fra il duetto (bellissimo) con Bugo e la più recente, fortunata carriera a teatro. Ed è lì che si incrocia Violante Placido. Da stasera al Carcano protagonista di “1984”, dal romanzo di George Orwell, un adattamento di Robert Icke e Duncan Macmillan, per la regia di Giancarlo Nicoletti. Con l’attrice romana sul palco insieme a Ninni Bruschetta e Woody Neri. Gruppo solido. Per dar vita a un frammento del nostro immaginario collettivo. Polaroid distopica. A raccontare di una rigidissima dittatura tecnologica. Che rimanda a un presente di algoritmi e sorveglianza. Tutti figliocci del Grande Fratello orwelliano.

Violante, cosa bisogna aspettarsi?

“È un lavoro fedele al romanzo, dove già emergono in maniera lampante dei parallelismi con la realtà che viviamo tutti i giorni. La regia li sottolinea, come nella celebre scena dei “due minuti d’odio“, l’unica breve parentesi che il Grande Fratello concede per sfogare frustrazioni e rabbia, di solito contro i nemici del partito, i rivoluzionari. Personaggi destinati a essere letteralmente vaporizzati”.

Inquietante.

“Già, eppure alla fine ci si scambia quasi un segno di pace, perché ci si scopre più sereni. Ecco, in quel momento ci viene chiesto di utilizzare i telefonini, di ritrovare i social e i mezzi di comunicazione come luoghi dove vomitare odio e puntare il dito su chiunque. Un meccanismo malsano, in cui abbiamo sgretolato il tempo della riflessione”.

Riflessioni che ha da poco condiviso in un monologo in tv per le Iene.

“Sì, rimandando a uno dei bellissimi slogan che si trovano nel libro: “L’ignoranza è forza“. Ma i temi sono tantissimi. C’è quello ad esempio della costruzione di una neolingua, che accorcia costantemente il vocabolario. Un modo concreto per limitare qualsiasi possibilità di pensiero e di contestazione, perché il tuo cervello si ritrova senza più strumenti con cui lavorare. Siamo annichiliti nel nulla”.

Non ci rimane che sperare nella rivoluzione?

“Lo stesso Orwell non desiderava che il racconto fosse cupo. Per questo decise di includere un’appendice che apre al lieto fine. Suona un po’ come un ammonimento. Che abbiamo deciso di mantenere nel suo spirito, pur nell’ambiguità dei riferimenti e dei salti temporali”.

Il suo personaggio?

“Julia afferma che la politica non le interessa, sembra integerrima ma in realtà segue le leggi in modo furbo, per sopravvivere. Il sesso per lei diventa un atto di libertà ma perfino l’amore che la lega a Winston non si capisce del tutto da quali sentimenti sia mosso”.

Anche per lei la libertà pare concetto basilare.

“Continuo a cercare di non essere incastrata in nulla. Di essere libera, sì. Che poi vuol dire mettersi ogni giorno in discussione, di provare ad evolvere come essere umano. Evito le situazioni rigide e nelle scelte attendo quei progetti in cui sento una reale corrispondenza, altrimenti evito. Le cose che facciamo in maniera non autentica finiscono per intossicarci”.

Figlia di attori, come si concilia tutto questo con un percorso già tracciato?

“Effettivamente sono cresciuta respirando un contesto artistico affascinante ma capace di destabilizzare dal punto di vista familiare. Per me è stato quindi un continuo dubbio. E dopo le primissime cose mi sono fermata un attimo per domandarmi: ma tutto questo lo sto scegliendo o ci sono capitata? Non è un lavoro che puoi affrontare senza convinzione, considerando l’investimento emotivo che richiede”.

Cosa si rispose all’epoca?

“Che avevo bisogno di staccare, di viaggiare, di studiare. Di stare meglio, per poi tornare a quello che stavo facendo, con una consapevolezza diversa”.

Il teatro?

“È arrivato tardi, a lungo l’ho temuto. Non mi sentivo pronta e ho capito che non vale la pena imporsi le cose. A un certo punto mi sono decisa, affrontando il faticoso percorso individuale che ti porta a interpretare un personaggio in scena. È stato importante il “Sogno di una notte di mezza estate“ diretto da Massimiliano Bruno, un successone qualche anno fa. E ora quando mi hanno proposto Julia, mi è parsa un’occasione strepitosa”.

Al cinema la si vede meno.

“E un po’ mi manca. Mi piacerebbe anche lì affrontare una bella sfida”.

Lei ha qualcosa di cult, eppure sembra sempre la compagna di banco del liceo.

“È vero! Mi considero poco inquadrabile, spesso risulto diversa da come mi sento. Di sicuro c’è molto affetto intorno a me, nonostante non sia mai stata strategica nelle scelte. Forse le persone respirano un po’ della mia libertà”.