GUIDO BANDERA
Economia

Autobianchi e Innocenti, i due marchi milanesi potrebbero rinascere cinesi

L’idea del governo per strappare a Stellantis i due ex gioielli, ormai estinti da decenni

Autobianchi, la fabbrica di Desio

Autobianchi, la fabbrica di Desio

Milano, 13 luglio 2024 – Nella lotta sotterranea fra il governo, che punta ad aprire l’Italia a un nuovo produttore di automobili, e Stellantis, che sembra lontana dalla promessa di assemblare qui un milione di mezzi all’anno, fra gli scenari ipotetici spunta anche quello di ridare vita a due storici marchi milanesi di vetture, estinti da decenni: Autobianchi e Innocenti.

“L’impresa titolare o licenziataria di un marchio registrato da almeno cinquant’anni che intenda cessare definitivamente l’attività svolta notifica preventivamente al Ministero delle imprese e del made in Italy le informazioni (…). Al fine di tutelare i marchi di particolare interesse e valenza nazionale e di prevenire la loro estinzione (...), il Ministero può subentrare gratuitamente nella titolarità del marchio qualora lo stesso non sia stato oggetto di cessione”.

“Per i marchi che risultino inutilizzati da almeno cinque anni, il Ministero può depositare una domanda di registrazione del marchio a proprio nome. Il Ministero delle imprese e del made in Italy è autorizzato ad utilizzare i marchi esclusivamente in favore di imprese, anche estere, che intendano investire in Italia o trasferire in Italia attività produttive dall’estero”. Con questo testo, contenuto nella legge sul made in Italy, il governo mette sul tavolo un’arma di pressione che potrebbe turbare i sonni di Stellantis in Italia. Il grande produttore italo-francese, infatti, potrebbe presto vedersi scippare i due ex gioielli, rimasti chiusi nel cassetto dalla metà degli anni Novanta, per vederli poi passare a produttori esteri, in particolare cinesi, che potrebbero venire ad assemblare automobili in Italia.

Autobianchi e Innocenti, in disuso ma pronti a risorgere

Le due case automobilistiche milanesi non producono più dalla fine degli anni Novanta. E Stellantis ha in cassaforte i diritti, fin qui mai più esercitati, per l’utilizzo dei simboli. Con la norma prevista dall’esecutivo, bastano addirittura cinque anni di assenza dai mercati perché il Ministero possa registrare liberamente questi marchi e concederli in uso a un’azienda che intenda venire a produrre in Italia. Un caso che suonerebbe a Torino come una sorta di dichiarazione di guerra. Uno scenario, tuttavia, che Stellantis-Fiat potrebbe tranquillamente evitare rivendicando l’uso dei marchi in qualunque modo, anche solo per presentare una variante di un modello, un disegno, o registrando di nuovo l’uso dei simboli sotto qualunque forma. Stellantis, che ha già contestato la politica di aprire a nuovi produttori cinesi il mercato nazionale, certamente non intende favorire l’uso di marchi di sua proprietà perché questo accada. Di sicuro, entrambi, sono poco noti ai più giovani. E sopravvivono nella memoria dei più anziani, come case capaci di offrire vetture di piccole dimensioni, curate, ma a prezzi competitivi.

Una storia milanese: Lambrate e Innocenti

Lambrate, la fabbrica Innocenti
Lambrate, la fabbrica Innocenti

Entrambi i marchi automobilistici nascono a Milano. Il più antico, e meno legato alla storia della Fiat, è Innocenti. L’azienda nasce nel 1933 e ha alle spalle una storia complessa, fatta di continui salvataggi e tracolli. Si comincia lontano dalle quattro ruote. Ferdinando Innocenti, un toscano della provincia di Pistoia, apre a Lambrate la sua officina. Sua, fra l’altro, l’intuizione che porta l’azienda a creare i famosi tubi da ponteggio, che ancora portano il nome del fondatore, e che sono negli anni del dopoguerra motore dell’edilizia che spinge la ricostruzione. Il settore meccanico si amplia nel tempo con la produzione di grandi impianti, presse e strutture industriali, in Italia e nel mondo. E questo settore, progressivamente ridimensionato, confluisce negli anni Settanta nel grande colosso pubblico Iri, creando la Innse, Innocenti Sant’Eustachio, che fra lotte ed alterne vicende sarà poi acquistata – in due dei diversi rami - dal gruppo Camozzi. Altro settore chiave per l’azienda, quello della produzione di motocicli e ciclomotori. La Lambretta prende proprio il nome dal quartiere di Lambrate, dallo stabilimento che ancora in parte attende una riconversione, in via Rubattino. Ceduta negli anni Settanta allo Stato indiano, che ancora ne possiede i diritti, il settore motocicli della Innocenti esce dai radar italiani. Resta l’automobile.

Gli inglesi di Milano

La storia della Innocenti come azienda automobilistica inizia in realtà molto tardi, nel 1959. In quell’anno, il fondatore stringe un accordo con quello che all’epoca era un gigante, la BMC, British motor corporation, nata a sua volta da una fusione fra Morris e Austin, e marchi collegati, che aveva scalato solo in virtù del matrimonio le classifiche dei produttori più grandi del mondo, piazzandosi solo alle spalle dei giganti dell’epoca, le tre grandi degli Usa, GM, Ford e Chrysler. Innocenti stringe un patto per assemblare a Lambrate, su kit imballati che comprendevano motori, meccanica e finiture, vetture concepite, prodotte e ingegnerizzate in Gran Bretagna. Un metodo identico a quello che produttori cinesi potrebbero oggi utilizzare, magari proprio con il marchio Innocenti.

Le prime vetture vedono la luce a cavallo fra il ‘59 e il ‘60. Sono due: uno spider, con la meccanica di una Austin Healey Sprite, rivista nella linea da stilisti italiani, e la Austin A40: un’utilitaria conservatrice, trazione posteriore e balestre, che venne venduta come Innocenti-Austin A40. Curiosamente, proprio quell’anno la BMC presentava il suo grande successo, l’innovativa Morris Mini (venduta anche come Austin Seven), l’utilitaria a trazione anteriore disegnata da sir Alec Issigonis, che ancora esiste come marchio sotto l’egida BMW, ma il nuovo modello non arriverà alla Innocenti che molto più tardi. Anche se sarà un grande successo. Proprio con la Mini la Innocenti infatti comincerà a insidiare i successi della Fiat. Assemblando l’utilitaria in Italia, infatti, la BMC, nel frattempo diventata British Leyland dopo altre fusioni e una inevitabile nazionalizzazione causa crisi e cattiva gestione, aggirava i dazi doganali. E proprio all’altro marchio di cui si discute in questi giorni, la Autobianchi, toccherà combattere con Innocenti con la A112.

Il principe Filippo a Lambrate

Il principe Filippo a Lambrate
Il principe Filippo a Lambrate

In quegli anni a Lambrate si ricordano visite illustri, come quella del duca di Edimburgo, Filippo, che a bordo di una Innocenti I4 (una Morris 1300 assemblata a Milano), allungata e con un tetto di plexiglass, per mostrare al consorte della regina Elisabetta  gli stabilimenti milanesi. Innocenti, però, scompare presto. E il figlio venderà anche la parte automobilistica. A comprare saranno proprio gli inglesi di British Leyland. L’azienda punta a rinnovare la fabbrica: nuova produzione, sempre su licenza.

La Mini Minor 800, prodotta su licenza britannica a Lambrate
La Mini Minor 800, prodotta su licenza britannica a Lambrate

La Mini si veste di una carrozzeria disegnata da Bertone (e rinnovata resterà in produzione fino al 1993), e arriva una nuova media. In Inghilterra si chiama Allegro, in Italia Regent. “Linea italiana – mentirà la pubblicità -, tecnologia inglese e consumo scozzese”, promettono le inserzioni sui giornali. Sarà un flop. La linea non convince gli italiani. E la crisi della casa madre fa il resto. A Lambrate sono scioperi, contestazioni, cassa integrazioni e problemi seri. A Londra, dove hanno problemi simili che stanno facendo fallire l’azienda (che verrà nazionalizzata), decidono di chiudere bottega. Lambrate in liquidazione. Migliaia di operai a rischio.

L’era di De Tomaso

Se a Londra è il contribuente che paga, anche a Milano tocca allo Stato. Alfa Romeo (anche lei statale) non compra. Fiat, già in difficoltà dopo l’acquisizione di Lancia, non si muove. Tocca allo Stato. Per salvare la fabbrica e gli operai interviene Gepi, una sorta di ricovero di aziende malandate o decotte, che lo Stato finanzia solo per evitare i licenziamenti. La holding trova un accordo con Alejandro De Tomaso. Imprenditore corsaro argentino, molto ben introdotto alla Ford, titolare di un proprio marchio automobilistico, De Tomaso entra come socio e presto diventerà padrone. Si comincia nel 1976: “Su Lambrate è tornato il sole”, annunciano le pubblicità, che sottolineano come finalmente i clienti possono comprare le loro Mini-Bertone senza attenderle in eterno o vedersele consegnare vandalizzate dalle proteste sulla linea. Allora la licenza britannica è ancora attiva, e la meccanica delle Mini milanesi è ancora Leyland. Presto arriveranno motori dal Giappone, i primi tre cilindri, e sospensioni semplici e meno costose. Con la vecchia carrozzeria. Sarà anche l’epoca anni Ottanta delle Mini Turbo De Tomaso, prototipo delle micro-ammiraglie sportive.

Lambrate da cinema

A rendere celebre la Mini De Tomaso un film: Vacanze di Natale del 1983. L’arrivo di Jerry Calà a Cortina con la pepata utilitaria milanese è un cult. Ma a Lambrate e dintorni le macchine da presa non sono state una rarità. Un po’ per via delle politiche pubblicitarie aggressive della casa automobilistica, pioniera di quello che oggi si chiama product placement, un po’ per la disponibilità a ospitare riprese dentro i reparti. Il primo film a essere girato sotto i capannoni alti e pieni di luce di via Rubattino è “Il Mafioso”, di Alberto Lattuada. Un Alberto Sordi siciliano emigrato a Milano è diventato un rigido funzionario Innocenti. Efficiente e sposato con una milanese doc. Finisce, per ordine di un boss siciliano che ha emissari anche in fabbrica, a compiere un delitto in America, dove viene trasferito di nascosto anche dalla famiglia, durante una vacanza al paese natale. Le scene iniziali sono girate proprio sulle linee di produzione della Lambretta. E Sordi si muove su una A40.

Dodici anni dopo tocca a un altro mostro sacro della commedia varcare le porte di Lambrate. “Romanzo Popolare”, incursione milanese di Mario Monicelli, punta su Ugo Tognazzi, figura di operaio di sinistra innamorato e sposo tradito di una giovanissima Ornella Muti. Tognazzi appare con la tuta da lavoro siglata dalla I del logo Innocenti. Sullo sfondo sfilano le scocche della Regent, fugace presenza sulle linee. Ma una Innocenti di Lambrate finisce anche per apparire in “Amici Miei” altro lavoro di Monicelli di quegli anni.

Tognazzi in Romanzo Popolare alla fabbrica Innocenti di Lambrate
Tognazzi in Romanzo Popolare alla fabbrica Innocenti di Lambrate

Il declino della fabbrica e del brand

Gli anni Ottanta volgono al termine e anche l’assemblaggio delle scocche della Maserati Biturbo, portata qui da De Tomaso che nel frattempo ha acquistato anche il gioiello modenese, finisce. La eterna Mini è agli sgoccioli e non è più aria di salvataggio pubblico. I mille di Lambrate finiscono sotto l’ala della Fiat, che appena rilevata l’azienda, avvia la dismissione della fabbrica che dovrà diventare un centro commerciale. Il marchio milanese si limita a essere posto sulla griglia di auto prodotte all’estero: Polonia, Serbia, Brasile. Sono la Koral, prodotto jugoslavo che conosce scarso successo, e le versioni straniere della Uno e della Duna. Fiat della generazione precedente alla Punto che vengono vendute come mezzi low-cost. Poi, nel 1997, sull’onda di una nuova riorganizzazione della Fiat, fra crisi e tagli, anche il marchio finisce in un cassetto. E sulla Palio, destinata inizialmente a essere l’ultima Innocenti, si piazza il logo di Torino. Si torna a parlare di Innocenti quando Sergio Marchionne, nel 2008, immagina per Fiat la nascita di una vettura low-cost sul modello della Dacia. E l’idea è quella di riportare in vita il marchio estinto. In ballottaggio con Autobianchi.

Fra viale Abruzzi e Desio

Quella della Autobianchi di Desio, invece, è tutto meno che una storia cinematografica. La fabbrica di auto nasce come Bianchi negli anni che precedono la guerra. Marchio di lusso, nasce da una branca della fabbrica di biciclette fondata da Edoardo Bianchi in viale Abruzzi a Milano, ma presto virato verso la produzione di camion che vengono arruolati e in tempo di pace servono poi a ricostruire l’Italia. L’Autobianchi, invece, arriva nel 1957. Il gotha dell’economia italiana la tiene a battesimo. Edoardo Bianchi, Vittorio Valletta e un giovane Gianni Agnelli per la Fiat, insieme a Leopoldo Pirelli, siglano l’accordo per creare la fabbrica negli spazi di proprietà di Bianchi a Desio. Si assembla la Bianchina, una versione chic (per l’epoca), della popolare 500. Diventerà celebre invece come vettura leziosa e un po’ ridicola ai tempi dei film di Fantozzi. Ma Desio è fabbrica vera. Dopo la Bianchina è un fiorire di modelli. La Primula, prima trazione anteriore del gruppo Fiat, la A111, la media innovativa dallo stile classico, rivale-cugina della 124 e della 128.

La A112, celebre prodotto della Autobianchi
La A112, celebre prodotto della Autobianchi

Desio è anche la casa delle A112, utilitarie di stile che in versione Abarth danno filo da torcere alla Mini Cooper. Nel 1980 è anche il tempo di assemblare le Panda, poi arrivano le Y10, l’utilitaria che per lo spot “Piace alla gente che piace”. Un grande successo, ma sono le ultime battute. La fabbrica chiude prima che il modello vada in pensione e bisogna traslocare le linee ad Arese. Quando nel 1995 arriva la nuova Y, il marchio sarà quello della Lancia e l’assemblaggio non sarà più a Desio. E anche il logo Autobianchi finirà nel cassetto. Fabbrica difficile quella di Desio, dove si sperimentano forme di lotta sindacale a volte estreme. Qui viene inventato il cosiddetto salto della scocca: proteste paralizzano a singhiozzo le stazioni della linea produttiva. Il risultato è che le auto arrivano in fondo parzialmente assemblate, quasi vandalizzate. I costi di finitura sui piazzali sono alti e le operazioni complicate. Tempi duri, che finiscono in capannoni vuoti e progetti immobiliari falliti. Oggi sullo sfondo della contesa fra governo e Stellantis appare l’ipotesi di far risorgere i marchi in versione cinese.

Altri loghi dimenticati

Eppure quelli milanesi di proprietà ex Fiat non sono gli unici marchi di auto in disuso. Se Iso Rivolta e Isotta Fraschini vengono utilizzati per supercar che circolano in pochissimi esemplari, OM, Scat, Ceirano, Bianchi, ma anche Stanguellini o Osca, restano – per citarne alcuni – sullo sfondo della storia e delle opportunità. Un’altra marca lombarda nata nell’epoca pionieristica e subito morta a inizio secolo è Fial, quasi un clone della Fiat. Era la Fabbrica italiana automobili Legnano. Un’impesa durata poco e nata dalla voglia di crescere di un produttore di biciclette italo-legnanese, la Wolsit, Wolseley italiana, che diede origine a un marchio di bici diventato celebre per la livrea verde oliva. Legnano, appunto. Ma questa è già archeologia.