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Google multata per 60 milioni: tracciava i dati di geolocalizzazione senza autorizzazione

L’azienda è stata sanzionata da una Corte australiana per reati avvenuti tra il 2017 e il 2018 che hanno coinvolto la privacy di oltre 1,3 milioni di utenti

Google ha un fatturato 257 miliardi nel 2021

Google, azienda controllata di Alphabet, è stata condannata a pagare una multa di 60 milioni di dollari per aver raccolto, tra il 2017 e il 2018, i dati di geolocalizzazione di 1,3 milioni di utenti nonostante la cronologia delle posizioni fosse disattivata. Lo ha deciso la Corte federale australiana a seguito di un procedimento avviato dalla Commissione australiana per la concorrenza e i consumatori. La società ha accettato di pagare la multa e non farà ricorso.

Secondo i giudici, il colosso statunitense ha “rilasciato dichiarazioni ingannevoli ai consumatori sulla raccolta e l'uso dei loro dati di posizione personali sui telefoni Android tra gennaio 2017 e dicembre 2018”. Dopo aver raccolto i dati, Google indirizzava agli utenti annunci pubblicitari personalizzati.

Non è la prima volta che Google viene condannata per l’uso improprio dei dati raccolti dagli smartphone. In questi giorni la società sta affrontando anche un'altra indagine, avviata a febbraio 2020, sulle stesse pratiche scorrette anche in Europa. Se si scoprisse che ha violato il regolamento generale europeo sulla protezione dei dati, potrebbe essere costretta a pagare una multa fino al 4 per cento del fatturato annuo globale, che nel 2021 è stato di 257 miliardi di dollari (la sanzione si aggirerebbe intorno ai 10 miliardi).

Non solo. All'inizio di quest'estate, alcuni gruppi europei per i diritti dei consumatori hanno presentato una nuova serie di denunce contro Google, accusando il gigante della pubblicità di design ingannevole, tale che spingerebbe gli utenti ad accettare un'elaborazione estesa e invasiva dei loro dati. Sull'attività di Google si staglia anche il Digital Service Act, che intende aumentare la responsabilità delle Big Tech con multe ancora più salate (fino al 6 per cento del fatturato annuo).

“Questa significativa sanzione inflitta oggi dalla Corte invia un forte messaggio alle piattaforme digitali e ad altre imprese, grandi e piccole, che non devono fuorviare i consumatori su come vengono raccolti e utilizzati i loro dati”, ha dichiarato Gina Cass-Gottlieb, presidente della Commissione australiana sulla concorrenza. “Possiamo confermare che abbiamo concordato di risolvere la questione relativa alla condotta storica dal 2017 al 2018 – ha dichiarato un portavoce di Google a TechCrunch – e abbiamo investito molto nel rendere le informazioni sulla posizione semplici da gestire e da comprendere con strumenti leader del settore come i controlli di eliminazione automatica, riducendo al minimo in modo significativo la quantità di dati archiviati”.