
PRIMA SEMPLIFICARE. Poi una doverosa eliminazione di distorsioni e contraddizioni. Infine, se possibile, una riduzione delle tasse. La riforma fiscale è attesa da decenni e anche il governo Draghi, come tutti gli altri, ci prova, visto che ha in programma di presentare un disegno di legge delega sul fisco entro fine mese. Tuttavia, a differenza del passato, questa volta può essere diverso. Infatti, c’è già una base su cui poggiare l’iniziativa di Draghi: un lavoro preparatorio di quattro mesi e 60 audizioni svolto dalle Commissioni congiunte di Camera e Senato, che ha prodotto un documento approvato a larga maggioranza.
Come era facile ipotizzare, dovendo accontentare le diverse forze politiche, il testo è rimasto vago su alcuni punti, tra cui il reperimento delle risorse che dovrebbero servire a coprire le modifiche del sistema tributario. Dal ministero dell’Economia, infatti, hanno fatto presente che l’adozione di tutte le proposte formulate dal Parlamento peserebbe per "40-60 miliardi". Margini di bilancio che, evidentemente, non abbiamo. La caccia alle risorse è comunque partita, ma la riforma fiscale non può essere finanziata in deficit, né tantomeno con i fondi dell’Unione europea. Così ci ha pensato il ministro Daniele Franco a chiarire che l’obiettivo prioritario è un "un sistema più semplice e più coerente con le esigenze del sistema produttivo". In effetti, il fisco italiano, prima ancora di essere elevato, è complesso, iniquo, a tratti incomprensibile. La attuale giungla di bonus, regimi speciali, detrazioni, nasce dalla volontà della politica di favorire in chiave elettorale determinati gruppi sociali. Il risultato è una stratificazione schizofrenica. Per esempio, con il bonus Renzi (introdotto per favorire i dipendenti prima con 80 euro fino a 28 mila euro, adesso con 100 fino a 40 mila) non appena si superano i 35 mila euro lordi di ricavi, l’aliquota marginale effettiva cresce fino al 60%, mentre torna nella normalità quando si raggiunge quota 40 mila. Talvolta l’aumento del reddito lordo finisce addirittura tutto in tasse e questo, ovviamente è un disincentivo alla crescita. Se il reddito netto resta uguale, infatti, perché prendere un nuovo lavoro? Inoltre un sistema così caotico non è amico del contribuente. Ci sono circa 20 milioni italiani in debito con l’Agenzia delle Entrate, ma la metà lo è per meno di mille euro. Segno che più che un “popolo di evasori”, siamo un popolo che ha difficoltà a rapportarsi con il fisco. Anzi, che il fisco non aiuta. Tanto che per gli adempimenti tributari serve il 55% di ore lavorate in più rispetto ai concorrenti europei (Corte dei Conti), obblighi che pesano mediamente per il 4% del bilancio (Confindustria). Palesemente, la priorità deve essere quella di semplificare, rendendo meno intricato e iniquo il sistema e intervenendo quindi su deduzioni e detrazioni che mascherano spesa pubblica, distorcono l’allocazione di risorse e favoriscono principalmente i redditi medio-alti.
Tanto per fare un esempio, ci sono 18 miliardi di contributi all’anno per lo sviluppo di fonti di energia rinnovabile, ma anche 16 miliardi per quelle fossili. Una evidente (e stridente) contraddizione. Infine, se resta spazio, è benvenuta una riduzione della pressione fiscale. Per adesso ci sarebbero a disposizione 10 miliardi, che dovrebbero andare a coprire un taglio dell’Irpef per i redditi medi. Bene, perché fra tutte le priorità di intervento, detassare il fattore produttivo del lavoro, che soffre di un cuneo davvero troppo alto, aiuterebbe la crescita. Resta un po’ una chimera, invece, il taglio delle tasse grazie al recupero dell’evasione. Questa ha infatti carattere strutturale, che qualcuno stima in circa 110 miliardi l’anno, a cui si devono aggiungere quasi 80 miliardi di lavoro nero, più la parte criminale. Si tratta di cifre enormi, ma in minima parte davvero recuperabili. Su più di 800 miliardi di crediti in pancia all’Agenzia delle Entrate, solo qualche decina pare veramente “aggredibile”. Insomma, la priorità deve essere semplificare e riequilibrare il sistema. E il governo, dopo che il parlamento ha contribuito con il lavoro preparatorio, ha indicato con chiarezza questa strada. Ci sarebbero tutti i presupposti per iniziare. E se anche può sembrare un “piccolo” passo per la riforma fiscale, sarebbe un grande passo per i contribuenti e per l’intero sistema economico.
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