di Giancarlo Ricci
Alec Ross, 49 anni, è l’ex senior advisor per l’innovazione di Barack Obama, di cui è stato coordinatore per le politiche sulla tecnologia e i media nella campagna presidenziale nel 2008. Da un po’ si è trasferito in Italia, a Bologna, dove lavora come Distinguished Visiting Professor presso la Business School dell’Università di Bologna.
Insegna temi come ‘L’intersezione di tecnologia, scienza e potere geopolitico’ sta finendo di scrivere un nuovo libro (il suo precedente lavoro “Il nostro futuro” è stato un bestseller in 4 continenti, tradotto in 24 lingue) e cerca imprenditori italiani da sostenere con Amplo, il suo fondo di venture capital. Lo abbiamo incontrato per parlare con lui di futuro, innovazione e giovani.
Per prima cosa parliamo dell’esperienza fatta con Obama. Cosa ha imparato dall’ex presidente degli Stati Uniti, qual è stata la lezione più importante?
"Obama è stato un fantastico boss. È una persona molto calma. Più le situazioni erano difficili e complicate e più lui dimostrava calma e freddezza. Tutto il contrario di Donald Trump che invece è un ‘drammatico’, enfatizza sempre tutto. Obama è sempre molto calmo, preciso. Lui pretende da tutti quelli che lavorano con lui questo tipo di approccio. Calmi, serafici, ma analitici e decisi, senza tentennamenti. Un’altra cosa che ho sempre molto apprezzato di Obama è il suo altissimo standard etico. Con Obama bisognava seguire le regole, essere sempre corretti e rispettosi di tutti e di tutto. Io credo che lui abbia definitivamente stabilito dei nuovi standard nel modo di fare politica e governare un Paese. La lezione più importante che ho appreso da lui è quella di non prendere decisioni quando sei arrabbiato. Come ho detto Obama cercava sempre di riportare tutto alla calma, e solo dopo aver ripristinato una situazione tranquilla prendeva le sue decisioni, anche quelle più difficili e delicate".
L’innovazione è un’altra importante cosa per lei. Cosa vuol dire esattamente innovare e quale crede che sia il livello di innovazione nel nostro Paese?
"Per me innovare significa sviluppare nuovi processi e nuovi prodotti che servano a farci avere un futuro migliore. Il futuro è sempre qualcosa di differente dal passato proprio grazie all’innovazione. È in questo modo che concepisco l’innovazione. La penisola Italiana, per centinaia di anni è sempre stato un posto dove convivevano l’umanesimo e si studiavano le scienze e la tecnologia. È proprio nell’anima degli italiani questa commistione. Ed è un mix perfetto per generare innovazione. Io credo che questo spirito ci sia ancora. Ci sono molti settori in Italia dove si deve continuare a fare innovazione: agricoltura, moda e automotive sono tutti campi dove innovare è fondamentale per progredire e sopravvivere. Il concetto stesso di sostenibilità, così tanto importante negli ultimi anni, si basa sull’innovazione. E io credo che l’Italia, proprio per questa sua cultura storica, possa dare un grandissimo contributo all’innovazione. In Italia ci sono i talenti, in Italia avete la giusta attitudine".
Se il nostro nuovo presidente del consiglio Mario Draghi la chiamasse oggi, come fece Obama qualche anno fa, quali sono i consigli che gli darebbe per far ripartire l’Italia?
"Gli suggerirei di ragionare su tre importanti elementi. I soldi del Recovery plan. Questi soldi non possono essere considerati come carboidrati, solo per dare un po’ di energia al corpo. Questi denari devono essere considerati delle proteine, devono servire a far crescere la massa muscolare dell’Italia. Questo significa non dare retta ad ogni singolo politico che chiede una parte di questi soldi per fare qualcosa. Significa investire questo denaro in infrastrutture, potenziamento dei trasporti, educazione e digitalizzazione. Bisogna focalizzarsi in maniera importante su queste cose con degli investimenti importanti. Altrimenti l’Italia rischia di rimane indietro. Tutti questi quattro elementi sono esattamente quelli sui quali l’Italia ha attualmente un gap da colmare rispetto ad altri paesi europei, ed ora ha una opportunità di colmare queste lacune. Può darsi che questi interventi risultino impopolari, politicamente parlando, ma sono essenziali per far progredire il Paese e l’intero sistema Italia.
La seconda cosa che suggerirei a Draghi parte da una semplice constatazione: è troppo difficile essere imprenditori in Italia. C’è troppa burocrazia, la pressione fiscale è troppo alta e bisogna fare qualcosa per cambiare questa situazione. Conosco tantissime persone cha lavorano in società di venture capital che amano l’Italia per i suoi paesaggi, le città d’arte, il cibo, la moda, ma che non investono nel vostro paese perché le leggi e la burocrazia li spaventano. Investono più volentieri in Estonia, ad esempio, perché lì tutto è più semplice ed avviare o finanziare un’attività imprenditoriale è molto più facile e redditizio. Attualmente essere imprenditore in Italia è come partecipare ad una gara di corsa partendo con uno zaino sulle spalle pieno di pietre. Tutti gli altri concorrenti saranno più veloci di te.
Il terzo consiglio che darei a Draghi è di lavorare ed investire sforzi e denaro nella prossima generazione di leader. L’Italia è piena di giovani talenti ed è fondamentale creare spazi per questi talenti in politica, nelle aziende. Obama investì tantissimo su questo; diede un sacco di potere e di spazio a persone di talento. Sviluppare i talenti e fornirgli delle concrete opportunità è la chiave per affrontare nella maniera migliore le sfide che ci riserverà il futuro".
A proposito di talenti, sicuramente lei ne vedrà passare parecchi alla BBS, la Bologna Business School dove insegna. Come ‘allevate’ talenti a Bologna?
"Sono stato chiamato da Max Bergami, Dean e Consigliere Delegato della Bologna Business School perché noi abbiamo una visione del mondo molto simile. Io e Max crediamo fermamente in due cose: la prima di queste è il ‘mix di competenze’. Siamo fermamente convinti che avere una preparazione tecnica e scientifica, miscelata a quella umanistica sia la migliore cosa per ottenere successo nella vita professionale. La seconda cosa in cui crediamo fermamente è il modello dello ‘stakeholder capitalism’ che posiziona le imprese private come fiduciari della società e questa è chiaramente la migliore risposta alle sfide sociali ed ambientali di oggi. Il progetto iniziale era di avermi qui a Bologna per un anno ma alla fine ho cominciato a fare la spola tra gli Stati Uniti e l’Italia ed ora, a causa della pandemia, mi sono fermato qui. Credo fermamente che la BBS di Bologna sia un’istituzione dove è possibile davvero formare le persone che saranno protagonisti del prossimo futuro. Ho insegnato in molte altre università nel mondo ma qui c’è davvero una situazione perfetta per poter crescere ed avere gli strumenti per affrontare qualsiasi sfida. Qui abbiamo studenti che provengono da 21 diversi Paesi: abbiamo giovani cinesi, siriani, ugandesi, americani, nigeriani ed è incredibile il clima che si genera in una situazione del genere".
Lei ha recentemente detto che questo è un buon momento per investire. Vuole spiegarci perché e quali sono secondo lei i migliori settori dove investire?
"Esatto, credo profondamente che questo sia un ottimo momento per investire. In Italia, come in molti altri Paesi del mondo, stiamo uscendo da una terribile pandemia che ha messo in ginocchio le economie. Siamo in una situazione molto simile a quella che si ebbe nel 1946 dopo la distruzione causata dalla seconda Guerra Mondiale. Gli anni che seguirono furono anni di crescita incredibile, l’industria si sviluppò a grande velocità e l’economia iniziò a correre. È per questo che credo sia un ottimo momento per investire. Ci sono molte opportunità di ricostruire settori e ambiti che hanno sofferto molto negli ultimi mesi. I settori in cui investire sono sicuramente quello della tecnologia, della salute, dell’educazione e dello sviluppo del capitale umano. Io stesso, con la mia società di venture capital sto investendo in diverse aziende di questi settori e sto investendo in molti giovani imprenditori che hanno la giusta mentalità per competere in questa ‘post pandemic arena’. Bisogna essere ambiziosi, pensare in grande, in scala globale, bisogna avere idee che possano da subito trovare applicazione in qualsiasi paese del mondo e non solo nel paese in cui si vive".
In Italia quello che spaventa molto gli imprenditori è il fallimento. Molte volte la paura di fallire blocca investimenti ed attività. Lei ha un’interessante teoria sul fallimento…
"La mia teoria è molto semplice: il fallimento non è uno scandalo. Credo che la cultura della paura del fallimento purtroppo abbia causato la precoce fine di alcune startup italiane in passato. A volte si preferisce non rischiare troppo per evitare di fallire e questo limita le opportunità che si possono avere. Negli Stati Uniti è tutto molto diverso. Non si ha paura di fallire, si prendono più rischi ma il ritorno degli investimenti è spesso maggiore. C’è però un bell’esempio di azienda italiana che non ha avuto paura del fallimento, ed è proprio qui a Bologna. Si chiama Musixmatch ed è stata fondata da un imprenditore visionario di nome Max Ciociola. È un’azienda ormai consolidata, è stata una startup con una visione mondiale sin dall’inizio e il suo fondatore secondo me ha avuto la giusta mentalità, senza pensare a rischi di fallimento ha portato avanti la sua idea ed ha vinto. Questa è la mentalità che dovrebbero avere tutti i giovani imprenditori. Il fallimento è qualcosa da cui imparare. Steve Jobs fu licenziato da Apple. Molti altri manager hanno storie di fallimenti alle spalle ma hanno saputo trarre la giusta lezione da queste sconfitte per ripartire".
In uno dei suoi libri ha affermato che il 50% dei talenti esistenti è donna. In Italia, su questo fronte, abbiamo forse ancora molta strada da fare.
"Beh prima di tutto voglio precisare che anche negli Stati Uniti siamo ancora abbastanza lontani dall’avere risolto questo problema. Mi capita molto spesso di essere in giro per tenere qualcuna delle mie conferenze e quello che noto subito è che davanti a me, normalmente ho 195 uomini e soltanto cinque donne. È un rapporto assurdo, una proporzione che non ha senso. Noi pensiamo, che per essere leader si debba essere uomini. Niente di più sbagliato. La Bologna Business School è un bell’esempio di come le istituzioni dovrebbe essere in Italia. Ci sono molte donne e parecchie hanno ruoli di responsabilità. È una cosa che mi piace molto e che non è così frequente in altre istituzioni. Credo che in assoluto la diversità sia un valore. Persone di generazioni diverse possono creare un ambiente di lavoro molto più stimolante di uno dove ci sono solo persone con i capelli grigi. E aziende con molte donne possono ottenere lo stesso effetto. La diversità è qualcosa in grado di dare ad un’azienda una marcia in più".
L’ultima domanda è quasi una previsione: dove vede l’Italia tra due anni, lei che è stato in grado di immaginare il futuro in diverse occasioni e ne ha parlato anche nei suoi libri.
"Voglio rispondere a questa domanda con una famosa frase: ‘Solo gli ottimisti possono cambiare il mondo’ e io, che sono ottimista di natura, credo fortemente che i prossimi tre anni saranno sicuramente differenti dagli ultimi che abbiamo vissuto. E questa mia certezza nasce dagli studenti e dai giovani imprenditori con i quali ho a che fare ogni giorno. Chiunque può pensare, ad esempio, che dopo tre ore di lezione io possa essere esausto. Invece, di solito, al termine delle mie lezioni io mi sento pieno di energia e positività e questo è solo merito dei giovani, del loro grande entusiasmo e delle innovative idee che hanno in testa. Ecco perché sono ottimista per il futuro".