Un milione di giovani, cresciuti in Italia, diplomati in Italia, che spesso parlano l’italiano come prima lingua, ancora privi di cittadinanza, e spesso di diritti: è questa la fotografia ritratta dall’Associazione “Italiani senza cittadinanza” che da tempo sollecita il Parlamento a discutere la proposta dello Ius Scholae. La proposta di legge presentata dal Deputato Giuseppe Brescia, renderebbe possibile l’estensione della cittadinanza italiana ai figli di migranti, che siano nati in Italia o che siano arrivati nel Paese entro i dodici anni, senza aspettare la maggiore età, sarebbe sufficiente aver frequentato almeno cinque anni di scuola in Italia. L’attuale legge si basa, al contrario, sulla discendenza dei genitori, e sulla possibilità, per tutti gli altri, di poter richiedere la cittadinanza dopo i diciott’anni, con un procedimento lungo, complesso e non sempre di successo, e che richiede una capacità di autonomia finanziaria. In questo contesto si verificano situazioni paradossali, come la doppia privazione dei diritti subita da chi non ha la cittadinanza, e ha una disabilità. Disabili e immigrati: la doppia privazione dei diritti Una situazione di cui è testimone Emanuel Cosmin Stoica, attivista per i diritti civili e per i diritti dei disabili, membro della Consulta Disabili di Torino e studente di Giurisprudenza. Emanuel è nato in Romania e da bambino è venuto a vivere in Italia, anche per essere sottoposto a cure, poiché affetto da una grave patologia invalidante.Per poter acquisire la cittadinanza Italiana, oltre agli anni di residenza, devi dimostrare di avere una sussistenza economica, ma la pensione di invalidità e indennità di accompagnamento non fanno reddito. “Perciò una persona con disabilità che richiede la cittadinanza si troverà di fronte ad un rifiuto, nonostante la pensione serva proprio alla sussistenza economica” - racconta Emanuel al Giorno. “Tra due anni potrò fare l’avvocato, ma non posso avere la cittadinanza. Va cambiata la legge: andrebbe fatto un regolamento ministeriale, più breve come tempistiche dove il Ministero possa specificare cosa si intende per sussistenza economica”. Con una crisi demografica in corso, l’aumento degli anziani e la riduzione del numero di giovani, l’Italia avrebbe bisogno di mantenere sul proprio territorio giovani e famiglie. La mancata assegnazione della cittadinanza pone un problema culturale, politico ed economico: non sentirsi integrati completamente in un Paese può incentivare molti giovani ad emigrare in altre realtà. Il Regno Unito permette l’accesso alla cittadinanza dopo 5 anni di residenza. La Svizzera dopo 10. L’Australia dopo 4. Perdere anche questa competizione con il mondo non farebbe bene al nostro Paese. Integrare e favorire la crescita di un milione di giovani “nuovi” italiani, rappresenterebbe, al contrario, un’azione necessaria e utile all’ecosistema italiano. Sempre che non sia troppo tardi.
EconomiaIus Scholae: perché l’Italia ha bisogno dei "nuovi" italiani