Milano – Milano è una città "dinamica" ma che "si sta sedendo sugli allori", rischiando di perdere il passo rispetto a metropoli europee come Amsterdam o Parigi. Il costo della vita? "Le metropoli che offrono opportunità richiedono anche sacrifici ma Milano, con le giuste scelte sulla mobilità, ha la possibilità di svilupparsi in maniera più sostenibile". È la visione del 39enne Alberto Dalmasso che, nel 2013, ha fondato con Dario Brignone e Samuele Pinta la società di pagamenti digitali Satispay divenuta un unicorno, come vengono definite le startup che superano il valore di un miliardo di dollari. Una storia che parte da Cuneo e arriva a Milano, nel palazzo di otto piani nel quartiere Isola dove lavorano circa 400 dipendenti della fintech, su un totale di oltre 550 dislocati fra Italia, Francia e Lussemburgo. Il traguardo è ben definito: "Diventare il network di pagamento leader a livello europeo". Un percorso che vede il recente ingresso nel mercato dei buoni pasto, con l’obiettivo di arrivare a conquistare il 30% del mercato entro i prossimi cinque anni.
Dalmasso, un obiettivo ambizioso. Perché avete deciso di puntare su questo mercato?
"Abbiamo un network di 300mila esercenti, e tra questi almeno 70mila accettano i buoni pasto perché operano nel settore della ristorazione o della grande distribuzione organizzata. Il sistema dei buoni pasto, in questo momento, è messo in discussione per via delle commissioni troppo alte. Fatte queste premesse, ci sono tutti gli spazi per costruire un sistema più trasparente, equo e con costi più sostenibili per i nostri partner, tra cui bar o piccoli ristoranti a conduzione familiare ora costretti a pagare commissioni assurde, che a volte vanno oltre il 15%. Per gli esercenti la convenzione con Satispay si traduce in incassi entro un giorno lavorativo e zero commissioni aggiuntive. Siamo partiti da pochi giorni e, dalle risposte che stiamo ricevendo, ci sono le premesse per superare l’obiettivo che ci siamo prefissati, cioè quello di coprire entro i prossimi 5 anni il 30% di un mercato che avrà un valore di 6 miliardi di euro".
Quando si arriverà a zero pagamenti in contanti?
"Siamo convinti che fra trent’anni non ci saranno più pagamenti in contanti. Adesso siamo vicini al 50% dei pagamenti elettronici, una quota che solo fino a pochi anni fa sembrava irraggiungibile".
Voi avete scelto di rimanere fuori da certi settori, come il gioco d’azzardo.
"È stata una scelta ben precisa, evitando di andare a prendere volumi facili in contesti che, però, non portano nulla di buono alla società. Preferiamo puntare su abitudini sane, su un rapporto corretto fra esercenti e consumatori con vantaggi per entrambe le parti".
Tornando alle vostre origini, come mai da piemontesi avete scelto di costruire la vostra startup a Milano?
"Lavoravamo a Torino e ci siamo accorti che eravamo sempre in treno, in viaggio verso Milano. Pur rimanendo molto legati alle origini, abbiamo scelto Milano perché è la città più dinamica e ben collegata d’Italia, l’unica in grado di attirare quei talenti da Francia, Olanda, Regno Unito e Usa che vogliamo inserire nella nostra squadra. Una città che sta correndo, ma che non deve perdere la rotta".
Le opportunità sono note. Quali sono i punti deboli?
"Non c’è abbastanza verde, circolare in bici è rischioso, servirebbe inoltre una visione diversa sulla mobilità. In generale l’Italia è indietro sull’ecosistema fondamentale per aziende del nostro settore. Mancano competenze dal lato degli investitori e un’azienda che cresce, come la nostra, finisce per attirare capitali da fuori. Nel nostro caso dagli Stati Uniti".
Riscontrate difficoltà nel trovare personale?
"Alcuni profili specifici, dal design alla gestione del prodotto, fino al settore legale, sono difficili da reperire. Pur dando la priorità all’Italia, nella ricerca dei talenti guardiamo anche all’Europa e a Paesi come Usa e Regno Unito. CI sono ottimi incentivi fiscali per chi viene a vivere in Italia, solo che finisce per essere bastonato da pratiche di immigrazione che durano da sei mesi a un anno. Su questo bisognerebbe intervenire, creando procedure più intuitive".
Da imprenditore, che cosa ne pensa del dibattito sul costo della vita di Milano?
"È un tema da affrontare, anche se Milano è più sostenibile rispetto ad altre città europee. Poi non siamo certo ai livelli della Silicon Valley, dove i costi sono così alti che la gente deve guidare per due ore per andare a lavorare. Tra i nostri dipendenti ci sono persone che vivono a Torino e vengono tutti i giorni a Milano, altre che abitano fuori città. Grazie ai collegamenti le distanze si accorciano. Sul tema della sostenibilità un modello per Milano potrebbe essere un hub tecnologico come Berlino, dove è facile per i giovani vivere e fare famiglia. La città è a un bivio. Purtroppo vedo che si sta sedendo sugli allori, e questo è sempre un rischio".
C’è stato un periodo di crisi delle aziende tecnologiche, con licenziamenti anche su Milano. Pensiamo a Facebook o ad altre aziende. Come ha reagito il sistema?
"La pandemia ha accelerato l’adozione di servizi digitali e le aziende tecnologiche ne hanno beneficiato. C’è poi stata una sorta di tempesta perfetta. Quando l’emergenza pandemica è rientrata, queste aziende, si sono assestate su una crescita più lenta e allo stesso tempo si sono alzati tantissimo i tassi di interesse. Così chi aveva assunto tanto, diciamo pure troppo, ha poi dovuto fare i conti con organici troppo grandi, e iniziare a licenziare. Noi non ci siamo mai trovati a dover “tagliare” e questo è fantastico per il morale. Ciò ci consente anche, ora che assumiamo due persone al giorno perché siamo sottostaffati, di beneficiare di un mercato in cui molti più talenti sono disponibili".
Qual è la sua visione sullo smart working?
"Come tech company siamo strutturati anche per lavorare a distanza e con flessibilità, ma noi da sempre crediamo nella vicinanza. La nostra policy è di 3 giorni di lavoro in ufficio dal lunedì al mercoledì. Il giovedì e il venerdì chi vuole può lavorare da casa, ma sono felice di dire che in quelle giornate vedo in ufficio sempre più persone".