Si avvicina la fine del telelavoro per gli oltre 75mila frontalieri italiani che lavorano in Svizzera, la grande maggioranza dei quali cittadini lombardi - varesotti e comaschi in particolare - occupati in Canton Ticino (senza tuttavia dimenticare la pattuglia di valtellinesi e chiavennaschi attivi nel Canton Grigioni). Al 31 gennaio 2023, infatti, scadrà l’Accordo amichevole sul telelavoro sottoscritto tra Italia e Svizzera nel periodo più duro della pandemia, per agevolare la continuità produttiva e lavorativa nonostante le severe restrizioni adottate da entrambi i Paesi.
Dal 1° febbraio 2023 torneranno in vigore le vecchie regole, per effetto di una decisione presa unilateralmente da Roma e comunicata a Berna lo scorso 21 dicembre. Con poco più di un mese di preavviso, feste di Natale comprese, viene dunque smantellata un'architettura che aveva permesso di trovare un punto di equilibrio in un contesto complesso e articolato, dal momento che il telelavoro effettuato dai frontalieri incide su due livelli, quello previdenziale e quello pensionistico. Una decisione tra l'altro in controtendenza rispetto a quella dell’Unione europea che a suo tempo aveva deciso di sospendere fino al 30 giugno 2023 le implicazioni prodotte dal telelavoro dei frontalieri sul piano delle assicurazioni sociali.
Alla luce della situazione, i sindacati ticinesi CC-Ti, Aiti, Ocst e Unia hanno scritto oggi - 9 gennaio - una lettera al Governo federale di Berna per sollecitarlo a trovare un nuovo accordo con il Governo italiano, esprimendo "stupore" per la decisione di Roma "di porre fine, con un solo mese di preavviso e senza soluzione transitoria, a questa situazione che ha portato benefici a tutti noi". "L’Accordo amichevole in materia fiscale e l’applicazione flessibile della soglia del 25% per l’assoggettamento alle assicurazioni sociali - spiegano i sindacati elvetici - hanno introdotto regimi straordinari che hanno aiutato la nostra regione, e non solo, ad affrontare la difficile crisi sanitaria evitando al contempo effetti giuridici indesiderati, anche se le persone hanno di fatto lavorato in modo continuativo in Italia. Il telelavoro praticato nel recente passato, oltre ad aver permesso la continuazione dell’attività economica, ha contribuito a ridurre, almeno parzialmente, il traffico e il relativo carico ambientale. Inoltre, il telelavoro è potenzialmente un utile strumento anche nell’ottica del risparmio energetico; tema, purtroppo, di strettissima attualità".
Nella lettera si fa inoltre riferimento al recente accordo trovato fra Svizzera e Francia sul "telelavoro durevole" dei frontalieri francesi, citandolo come esempio, e al fatto che, in materia di assicurazioni sociali, il regime speciale Covid è già stato prorogato fino al 30 giugno 2023: per quanto riguarda i lavoratori italiani, dunque, dal prossimo febbraio verrebbe a crearsi una discrepanza tra i regimi fiscali e assicurativi, in relazione alla medesima persona e al medesimo lavoro.
"Riteniamo importante – concludono le sigle sindacali - che le autorità svizzere e italiane trovino celermente una regolamentazione più adeguata alla situazione, introducendo delle soglie di telelavoro durevoli anche in ambito fiscale, idealmente parificandole a quelle assicurative. Le associazioni e i sindacati firmatari della presente chiedono alla Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali di intervenire senza indugio presso le autorità italiane al fine di concordare un regime, anche transitorio, che permetta la continuazione del telelavoro parziale (idealmente parificato alle soglie ammesse nel settore delle assicurazioni sociali) oltre il 31 gennaio 2023".