Milano – La discriminazione contro le donne è radicata strutturalmente nella nostra società. Nel modo in cui siamo stati abituati ad agire, parlare, persino pensare. Per questo è così difficile da estirpare: gli interventi istituzionali da soli non bastano, quella che serve è una vera rivoluzione culturale dal basso. Ecco perché iniziative come “Vive”, l’incontro formativo sulla violenza di genere dedicato al personale di Coop Lombardia, assumono un’importanza fondamentale.
All’evento di ieri è intervenuto, tra gli altri, Salvatore Anania, dirigente della Divisione Anticrimine della Polizia di Stato: “Sensibilità e consapevolezza sono i termini che definiscono quello che noi facciamo tutte le volte in cui ci troviamo a intervenire in situazioni di violenza di genere – ha esordito –. Una sensibilità e una consapevolezza che abbiamo sviluppato nel tempo, seguendo l’evoluzione normativa, avviando corsi di formazione specifica e interloquendo direttamente con pubblici ministeri e tribunali. Così, se una volta il nostro intervento, per esempio in ambiente domestico, si limitava ad assicurare una non meglio specificata “ricomposizione“ della lite familiare, oggi disponiamo di precise linee guida per individuare segnali di violenza di genere e agire in maniera mirata”.
Non solo. “Abbiamo anche implementato nuovi meccanismi di assistenza – ha proseguito –. Tra questi c’è YouPol, un’applicazione per smartphone che consente di denunciare o segnalare situazioni sospette senza dover raggiungere la Questura o un ufficio di polizia. I mezzi ci sono e cercheremo di migliorarli sempre più, ma non dobbiamo dimenticare che il tema è, prima di tutto, culturale. A lungo si è pensato che la violenza di genere fosse una questione relegata alla sfera privata. Non lo è. Denunciare una violenza, sotto qualsiasi forma, alla quale abbiamo assistito, non equivale a farsi i fatti degli altri ma a prestare soccorso a chi non può chiederlo. E, soprattutto, insegnare ai nostri figli, con le azioni di ogni giorno, una mentalità improntata al rispetto è un dovere che ci compete in quanto cittadini”.
Alla responsabilità collettiva ha fatto riferimento anche Alfredo De Bellis, presidente di Coop Lombardia: “È soddisfacente vedere come le aziende portino avanti con sempre maggior convinzione azioni che hanno ricadute sociali, come quella di oggi – ha sottolineato –. Noi, che siamo una cooperativa, sappiamo bene che l’impresa non ha solo il compito di dare lavoro, ma anche quello, fondamentale, di restituire ricchezza, in tutti i sensi. Ad esempio proponendo percorsi che aumentino la coscienza delle problematiche che ci riguardano come collettività. Quest’anno abbiamo scelto un tema tanto importante quanto impegnativo, riscontrando la partecipazione attiva ed entusiasta di cooperatrici e cooperatori. Ma non vogliamo fermarci qui: per questo, nell’ultimo periodo, abbiamo attivato tirocini formativi destinati alle sopravvissute di violenza”.
È stata Beatrice Tassone, dipendente Coop Lombardia in distacco da PizzAut a Monza, a chiudere l’incontro con una riflessione partita dal suo vissuto personale: “Sono fiera del fatto che l’azienda per cui lavoro promuova campagne di sensibilizzazione, sia legate al mondo dell’inclusione – la Coop di Monza è la prima a essere accessibile a persone con spettro autistico – sia, come in questo caso, alla violenza di genere. E, anzi, oggi si sottolinea sempre più l’intersezionalità tra queste due tematiche, per dare voce a tutte quelle donne disabili che subiscono violenze e abusi, senza poter denunciare o comunicare a qualcuno il proprio disagio. Io stessa, che sono autistica e ipovedente, sperimento nella mia quotidianità la difficoltà di chiedere aiuto: pensiamo a quanto possa essere problematico farlo per una persona che ha subito un trauma del genere. E proprio al blocco causato dalla paura e dalla vergogna mi sono voluta ispirare per disegnare la cartolina della Coop simbolo del 25 novembre. Ho scelto di rappresentare il volto di una donna avvolto dalle mani della persona che ne sta abusando, mentre un filo spinato indica l’impossibilità di chiedere aiuto”.