Prossimo all’esame delle Camere il testo della legge delega fiscale. Quello che contiene, all’articolo 6, la riforma del catasto. La stessa che le commissioni finanze delle due Camere, il 30 giugno scorso, avevano deciso di pretermettere, cioè di accantonare. Non è una partita da poco. Non a caso ha già sollevato scontento e polemiche. La questione, in un Paese come il nostro, ha ricadute politiche e sociologiche rilevanti. L’investimento del risparmio nella casa è un cardine della mentalità italiana. E la riforma, se approvata nell’attuale impostazione, rischia di metterne in crisi i fondamenti. Da un criterio funzionale reddituale – che cioè tiene conto dell’uso del bene – si passerebbe a un criterio reale-patrimoniale. Come se, tanto per fare un esempio, i depositi bancari dovessero essere tassati sulla base del capitale depositato e non a partire dagli interessi prodotti. Riportato alla casa, significherebbe erodere il capitale anziché il reddito prodotto. La riforma non ha niente a che vedere con gli immobili abusivi, fonte di evasione fiscale, né con il problema delle perequazioni. Obiettivi conseguibili senza dover cambiare i criteri di determinazione delle basi imponibili, come si propone la riforma. La nuova legge punta a parametrare la tassazione al valore normale di mercato.
Ma c’è un valore normale di mercato per gli immobili? No, rispondono gli esperti del settore: per una serie di motivi. Gli immobili non sono beni fungibili, non possono essere sostituiti gli uni con gli altri. Inoltre, per essere tale un mercato deve muoversi su un equilibrio tra domanda e offerta. Ma nel settore immobiliare quest’equilibrio non esiste. Infine, i valori assunti attraverso l’Osservatorio mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate non tengono conto della sottostante disciplina edilizio-urbanistica del Comune. I valori cresceranno, le aliquote resteranno quelle attuali e, promette il Fisco, si verificherà poi cosa succede. Anche grazie alla garanzia dell’invarianza: non del prelievo a carico del singolo ma del gettito complessivo. Gli eventuali correttivi dovrebbero fare il resto. Problema risolto? Sembrerebbe di no, perché ci sono tre variabili che rendono questo meccanismo impraticabile. Sono le nuove costruzioni, il recupero dell’evasione e la riqualificazione edilizia. Si è mai vista una legge, attaccano i detrattori della riforma, che non conosce gli effetti che produce? Certamente sarebbe più utile procedere con il censimento degli immobili e la mappatura degli abusivismi. E avviare poi quelle rivalutazioni per microzone già previste dalla legge. Il fisco otterrebbe finalmente i benefici sperati; il contribuente eviterebbe l’ennesima stangata.