ARMANDO STELLA
Editoriale e Commento

Vittime in bici, ora Milano deve fermarsi e ripensare la mobilità: prima gli utenti fragili

Oggi l’ennesima croce su due ruote. Sono 312 i chilometri di corsie ciclabili, solo un centinaio protetti da cordoli: serve un patto maggioranza e opposizione per un nuovo Piano del traffico

Vittime in bici, ora Milano deve fermarsi e ripensare la mobilità: prima gli utenti fragili

Milano, 29 agosto 2023 – Milano tristissima capitale delle vittime della strada, Milano che non vede e stritola i ciclisti (l’ultima, Francesca Quagliauna ventottenne travolta da un camion in Porta Romana), Milano che non si interroga davanti alle vite straziate sotto le ruote dei camion, e tira dritto. Un flash mob, la commozione che vive nel tempo istantaneo della comunicazione social, e avanti. Milano che non si ferma: un’espressione purtroppo già sentita.

La bicicletta a terra in viale Caldara
La bicicletta a terra in viale Caldara

Spoon River da brivido

L’inerzia con cui la città ha assistito alle morti di questi ultimi mesi – una Spoon River che mette i brividi e suscita rabbia – è il manifesto di una politica imbambolata, incapace di dare soluzioni condivise, tempestive ed efficaci, prima ancora che di incanalare il traffico.

Di fronte a questo inaccettabile bollettino di guerra bisogna sforzarsi di rispondere a una sola, semplice domanda: cosa c’è di più importante del difendere le vite dei propri cittadini? Una metropoli piccola e intasata è di per sé un organismo disfunzionale. Va osservata, studiata, organizzata e adattata ai flussi di traffico e allo spirito del tempo.

I tentativi dei sindaci

Tognoli lavorò alla chiusura del centro storico e alle isole pedonali, Albertini ha diviso la rete viaria a spicchi viabilistici e scavato i (molto contestati) parcheggi sotterranei, Moratti ha acceso le telecamere sui Bastioni e sperimentato la prima pollution charge italiana (Ecopass), Pisapia ha trasformato la tassa sulle emissioni inquinanti in ticket d’ingresso (Area C), Beppe Sala ha attivato la cintura elettronica di Area B sul confine esterno per allontanare i veicoli diesel più inquinanti, allargato la geografia delle zona a 30 chilometri orari e annunciato dal 30 ottobre il rincaro al ticket per il centro (da 5 a 7,50 euro).

Nel frattempo, su questa linea del tempo lunga vent’anni, sono state aperte due linee di metropolitana (tralasciamo il ritardo ingiustificabile della tratta Sesto-Monza) e altre sono in progetto (confidando che arrivino i fondi). E le piste ciclabili? Sono state fatte, certo. Ogni sindaco ne ha aggiunto un pezzo.

Tante iniziative, nessuna rivoluzione

Ma nessuno ha avuto il coraggio di intestarsi una vera rivoluzione viabilistica. Troppe polemiche. Battaglie quartiere per quartiere (vedi corso Buenos Aires). Residenti preoccupati per il parcheggio, negozianti sulle barricate come per un riflesso automatico, pendolari su quattro ruote sempre più penalizzati e stangati dalla sosta a pagamento anche nelle periferie. Un cortocircuito sociale che si sviluppa periodicamente secondo uno schema politico, anche questo, piuttosto deprimente. Il centrosinistra accusato di “ultra-ecologismo“ e il centrodestra “fedele avvocato“ di automobilisti e lobby economico-commerciali.

Si può davvero andare avanti così? No. La Spoon River degli ultimi tempi richiede un sussulto di civismo e senso di responsabilità, uno scatto – questo sì, immediato – che faccia sintesi dei bisogni, superi gli interessi elettorali e silenzi le convenienze di partito. L’obbligo di sensori salva-ciclisti sui camion è solo il primo passo. A Milano si pedala su 312 chilometri di corsie ciclabili; circa un terzo, poco più di 100 chilometri, sono piste “in sede propria”, cioè protette da cordoli, pali o marciapiedi; altri 72 chilometri sono “bike lane“, poco più di una pitturata sull’asfalto.

Mobilità da ripensare

In viale Caldara, Porta Romana, centro nevralgico di Milano, la strada su cui è morta una ragazza di 28 anni travolta da un camion, non c’è neppure una striscia colorata. In compenso, ai lati delle carreggiate, gli automobilisti a caccia di parcheggio strappano persino la terra alle radici degli alberi. Ora: qui la soluzione è togliere le macchine e tirare una pista ciclabile? Forse, ma di sicuro non basta.

Da Porta Romana deve partire un ripensamento dell’intera mobilità cittadina, una revisione del Piano urbano del traffico – se possibile condivisa, salvaguardata dalle speculazioni di partito – che metta al centro la vita delle persone, partendo da quelle più fragili, più deboli. Milano deve provare a fermarsi anche stavolta, come ha fatto con il Covid dopo una fase di smarrimento. E ripensare sé stessa.