In un film di successo qualche anno fa veniva raccontata la spasmodica ricerca di Checco Zalone di un (ambitissimo) impiego a tempo indeterminato. “Io voglio fare il posto fisso” chiosava sognante il piccolo Checco in “Quo vado?”, di fronte alla classica domanda rivolta ai bambini “Cosa vuoi fare da grande?”. Per questo i dati sulla “fuga” dei dipendenti pubblici a Milano possono destare qualche stupore, per lo meno d’impatto. Nell’arco di 18 mesi, infatti, in oltre seimila hanno rassegnato le dimissioni a Milano e nell’area metropolitana. Non solo. Stando ai numeri forniti dai sindacati, il 30% dei vincitori dei concorsi rinuncia al posto.
Ma cosa sta succedendo? A sgretolare tutti i cliché dell’immaginario comune ci pensa, come sempre accade, la realtà. La causa principale di questo fenomeno è infatti da ricondursi a questioni economiche, unite a una “scarsa valorizzazione”. In poche parole: stipendi inadeguati rispetto al costo della vita, e in particolare della casa. Un tema, quello del costo della vita a Milano, che ricorre in maniera sempre più incalzante. E così proprio quella Milano che ha fatto della laboriosità un marchio di fabbrica, quella Milano che è stata una città profondamente polarizzata. E di perdere così un pezzetto importante della sua anima.
storicamente in grado di dare a tutti un’occasione, ecco, quella Milano rischia di trasformarsi in