Dal primo gennaio 2025 a Milano sarà vietato fumare all’aperto in tutte le aree pubbliche, incluse le strade e le piazze, a meno che non ci si trovi ad almeno 10 metri di distanza dalle altre persone presenti, pena una multa fino 240 euro.
Apriti cielo. La notizia è stata accolta da schiere di fumatori in rivolta, fiumi di sarcasmo e pesantissime critiche all’amministrazione comunale di Beppe Sala. Ma al di là dell’impossibilità pratica di effettuare i controlli (a meno di non voler impegnare manipoli di vigili armati di righello in ogni vicolo meneghino) e della disciplina marziale necessaria per rispettare le regole (se una persona si avvicina a un fumatore quest’ultimo cosa deve fare, mettersi a correre per riguadagnare i dieci metri di distanza?), la questione che viene posta da molti è un’altra. Questo divieto serve? Davvero qualcuno smetterà di fumare a causa dell’ennesimo comandamento calato dall’alto? Davvero l’inquinamento – che nel Milanese ha un livello tra i più alti d’Europa – diminuirà?
A sentire gli scienziati, sì. Un vasto studio pubblicato su Science ha rilevato che il divieto di fumare all’aperto riduce mediamente il numero di fumatori dell’1,3 per cento e il consumo quotidiano di sigarette dell’8 per cento (con relativi benefici per la sanità pubblica). Un’altra ricerca condotta dall’Istituto nazionale dei tumori di Milano ha rilevato che il fumo di sigaretta contribuisce per il 7 per cento all’inquinamento delle grandi città. E un terzo studio pubblicato su Environmental Health Perspectives ha registrato che la percentuale di polveri sottili nelle aree pedonali dove il fumo è permesso non è lontana da quella delle strade più trafficate e può arrivare fino a 124 microgrammi per metro cubo: cioè più del doppio rispetto alla soglia di rischio prevista dall’Organizzazione mondiale della sanità. Non fumare all’aperto non cambierà radicalmente la situazione, ma sì, a qualcosa potrebbe servire.