Milano, 28 luglio 2019 - Le elezioni politiche anticipate si allontanano ma gli allarmi rimangono. Specie quelli sull’affidabilità finanziaria dell’Italia. È dell’altro giorno l’allarme di Standard & Poor’s, agenzia di rating internazionale, che ha avvisato i governanti gialloverdi dei rischi connessi alla prossima manovra di bilancio qualora non contenesse tagli al debito pubblico e fosse troppo sbilanciata in favore di interventi di natura assistenzialistica. «L’Italia rischia di essere una nuova Grecia», hanno ammonito da Standard & Poor’s. La reazione degli esponenti di governo non si è fatta attendere. Anzi, quelle parole di preoccupazione hanno incrinato ancora di più l’asse già precario tra il ministro dell’Economia Giovanni Tria e il vicepremier Matteo Salvini. Quest’ultimo è stato perentorio: la Lega non voterà alcuna manovra che non preveda la flat tax e una riduzione complessiva delle tasse per tutti. Il leader del Carroccio è disposto a limitare l’applicazione della tassa piatta ai redditi fino a 55mila euro annui.
Contestualmente però pretende che anche per i redditi superiori ci siano sgravi fiscali e snellimento progressivo delle incombenze burocratiche che frenano lo sviluppo e la crescita delle imprese. Il titolare del dicastero di via XX Settembre però frena: occorre prima verificare le coperture e quindi la compatibilità di tali misure con il doveroso rispetto dei parametri europei. Secondo Tria, dunque, prima di immaginare provvedimenti di riduzione del carico fiscale per cittadini e imprese serve trovare i fatidici 23 miliardi indispensabili per evitare l’aumento dell’Iva a partire dal primo gennaio 2020. L’altro vicepremier, Luigi Di Maio, prova a smarcarsi e scarica su Salvini la responsabilità di reperire le risorse necessarie per finanziare la flat tax. Dal canto suo però fa sapere di aver già reperito i 4 miliardi di euro necessari per ridurre il cuneo fiscale e dunque assicurare più soldi in busta paga ai lavoratori.
Tra settembre e ottobre la manovra dovrà prendere forma ed è possibile che dopo Standard & Poor’s anche altre agenzie di rating possano entrare a gamba tesa nella dialettica fra Lega e Movimento 5 Stelle per influenzare le scelte dell’esecutivo. È assai probabile che ad incidere su tutto questo sarà la nomina del prossimo commissario dell’Unione europea che spetta all’Italia. Se fosse un leghista (ad esempio Giulia Bongiorno) il Carroccio avrebbe un po’ le mani legate nel contestare in maniera vibrante i vincoli europei. Se invece la scelta cadesse sull’attuale ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, l’euroscetticismo leghista avrebbe molti più margini di manovra e il Capitano potrebbe scaricare sull’Ue le critiche di austerità finanziaria usando la rigidità di Bruxelles come alibi nei confronti dei suoi elettori. Il premier Giuseppe Conte ha già impedito che scattasse nei confronti dell’Italia una procedura d’infrazione; non è affatto escluso che debba essere nuovamente lui a toglierci le castagne dal fuoco. sandro.neri@ilgiorno.net