GIANLUCA BOSIA
Editoriale e Commento

Essere figlio adottivo non è un’aggravante

Davanti a un reato, anche il più tremendo, non può essere una condizione moralmente discriminatoria

Adottato, adottata. Un aggettivo che nei racconti di cronaca nera, vedi la terribile vicenda di Pedrengo, quasi sempre suona o viene utilizzato come un’aggravante. Come se non essere un figlio biologico dovrebbe renderti un cittadino perfetto e grato all’umanità per aver trovato genitori così buoni da darti il loro cognome. Ma non è e non può essere così. E’ vero però che anche nei casi più riusciti di adozione i bambini che poi diventano ragazzi e infine adulti portano dentro una ferita: l’abbandono. Molti, quasi tutti riescono a farla rimarginare ad altri invece ogni tanto torna a sanguinare. Sono state scritte migliaia di pagine sul cosa voglia dire essere adottato, sulle difficoltà e anche sulle gioie. Ma questo è un altro discorso.

Torniamo al crimine. Da codice penale, l’essere adottato non rende più o meno grave commettere un reato. Anche se questo è picchiare o taglieggiare i genitori per una presa di coca o per avere soldi da buttare al gioco. I figli sono figli, biologici o adottati che siano e a volte non crescono bene. Come essere genitori adottivi non ti rende migliore o peggiore di quelli biologici o più o meno colpevole degli errori dei tuoi figli.

E quindi? Anche nel codice penale morale e giornalistico l’adozione non può essere un’aggravante o un’attenuante. Un reato è un reato come un figlio è un figlio.