Milano, 29 aprile 2018 - Tra le tante incertezze del momento un punto fermo c’è: è Luigi Di Maio uno dei principali nodi da sciogliere per arrivare a un governo. Giovedì si riunirà la Direzione dem per pronunciarsi sull’ipotesi di accordo Movimento 5 Stelle-Pd. Nel borsino delle probabilità il no prevale nettamente sul sì, nonostante le aperture mostrate negli ultimi giorni dal reggente Maurizio Martina. I renziani infatti hanno già ribadito la loro contrarietà, visto che nei Cento Punti per l’Italia del programma elettorale Pd ci sono moltissime proposte del tutto incompatibili con quelle pentastellate. Senza dimenticare che le parole di fuoco che Matteo Renzi e Luigi Di Maio si sono scambiati negli ultimi mesi lasciano presagire che ben difficilmente l’ex presidente del Consiglio sarà disposto a dire ai suoi di appoggiare un governo guidato dal candidato premier grillino. I 5 Stelle, quindi, sanno già che per andare al governo col Pd (e con Leu e centristi del Gruppo misto) dovrebbero rinunciare alla premiership di Di Maio e indicare un altro candidato
Potrebbe essere lo stesso esploratore Roberto Fico. Ipotesi che a questo punto libererebbe il posto di presidente della Camera per l’attuale ministro dei Beni culturali Dario Franceschini o per un altro capocorrente dem. Ma le rinunce grilline non si fermerebbero al nome di Di Maio, bensì investirebbero anche aspetti programmatici rilevanti. Ad esempio, che fine farebbe il Jobs Act sbandierato ai quattro venti come un elemento di successo del governo Renzi e fortemente criticato fin dall’inizio dai 5 Stelle? E in materia di fiscalità, quale sarebbe il programma di un eventuale esecutivo 5 Stelle-Pd? Le ultime cifre snocciolate dal governo Gentiloni parlano di un’Italia in buona salute, con indicatori economico-finanziari incoraggianti. Proprio il contrario di quanto sostiene la propaganda pentastellata, che fino a una settimana fa si allineava a quella leghista rispetto al proposito di smantellare tutte le scelte fatte dagli ultimi governi di centrosinistra.
Ecco perché non è accreditata di grandi speranze la soluzione di un accordo fra sinistra e grillini. È molto più probabile che, subito dopo il voto di oggi in Friuli, si rimescolino le carte e si riapra il forno Lega-Movimento 5 Stelle. O per ritentare la strada di un’intesa per il governo o, più semplicemente, per riformare la legge elettorale ad uso e consumo dei due vincitori, per poi ritornare rapidamente alle urne. In questo secondo scenario, a traghettare il Paese verso l’imminente scioglimento anticipato delle Camere potrebbe essere l’attuale esecutivo in carica. Anche perché né Matteo Salvini né Luigi Di Maio avrebbero interesse a sporcarsi le mani per pochi mesi in questa legislatura.
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