Il paziente in pronto soccorso non è più solo un numero e un codice colorato su un monitor, che spesso i familiari, quando non il malato stesso in attesa di una visita più approfondita dopo il primo triage, sta a fissare per ore. Momenti che sono eterni e che vengono resi ancora più lunghi dalla preoccupazione e dalla mancanza di informazioni. L'infermiere specializzato (Caring nurse, il brutto termine inglese) che fa da 'collegamento' tra la sala d'aspetto e quella di emergenza, dunque, introdotto a maggio in via sperimentale all'ospedale milanese di Niguarda, ma anche in altri accessi d'urgenza metropolitani, ha subito ottenuto, come prevedibile, un ottimo riscontro. Sia tra i pazienti e i malati (oltre il 90% ha confermato di aver ridotto l'ansia), che tra gli stessi operatori sanitari. Che ora possono concentrarsi sui casi più gravi e comunicare più agevolmente coi familiari, vedendo ridurre il rischio di aggressioni, sia verbali che fisiche. Tornare ad essere umani, poter ricevere aggiornamenti e notizie, belle o purtroppo brutte che siano, fa sentire compresi e aiutati in un momento di difficoltà e disagio. Le parole pronunciate da una persona in carne e ossa, in un mondo che va in maniera spinta verso l'intelligenza artificiale, dove per l'erogazione di servizi dobbiamo sempre più rivolgerci a chatbot, software che rispondono in maniera programmata alle richieste, sono ancora il futuro, specialmente nella Sanità.
Editoriale e CommentoL'‘infermiere di collegamento’ riduce l'ansia da monitor