SANDRO NERI
Editoriale e Commento

Attacco al lavoro

L’allarme era tutt’altro che infondato

Milano, 9 dicembre 2018 - L’allarme era tutt’altro che infondato. Il primo fiore all’occhiello - si fa per dire - dell’attuale escecutivo è stato il decreto dignità. Quello sbandierato ai quattro venti come il miracoloso provvedimento che avrebbe in un colpo solo azzerato il numero di disoccupati. E trasformato gran parte dei contratti a termine in assunzioni a tempo indeterminato. Il vicepremier Luigi Di Maio, che è anche ministro del Lavoro, aveva profetizzato che i benefici di questa nuova misura si sarebbero visti entro l’anno. E che gli effetti a suo dire negativissimi del Jobs Act si sarebbero per fortuna dissolti. A questa favoletta Confindustria aveva fin dall’inizio dimostrato di non credere, paventando il rischio che le imprese, nell’incertezza di veder confermate le loro commesse e i loro profitti, avrebbero lasciato a casa molti lavoratori a tempo determinato. Qualche giorno fa sono arrivate le previsioni di Federmeccanica, che parla di oltre 53.000 posti di lavoro persi per mancato rinnovo dei contratti a termine in corso.

Si ricordano ancora con particolare preoccupazione le parole del presidente Vincenzo Boccia sull’effetto recessivo che avrebbe potuto avere il decreto dignità sul mercato del lavoro. Gli esponenti del governo cercano di minimizzare. Temono un ulteriore calo di fiducia nella crescita economica del Paese. Ma il principio elementare che il governo Conte sembra aver perso di vista è che non si possono impegnare nuove risorse se prima non si attuano meccanismi virtuosi per produrle. Quota 100 e reddito di cittadinanza hanno costi insostenibili per uno Stato già indebitato fino al collo come l’Italia. Pensare che le imprese possano investire al buio accollandosi i costi di nuove assunzioni a tempo indeterminato quando il rischio recessione sembra già materializzarsi, appare alquanto utopistico. Senza dimenticare che i costi della burocrazia disarmano anche le volontà e smontano pure le migliori intenzioni degli imprenditori più tenaci. Fa da sfondo a questo scenario tutt’altro che rassicurante il clima politico molto surriscaldato, con rapporti ad alta tensione tra i due alleati di governo. Se l’esecutivo Conte è stato costretto a porre la fiducia in diverse occasioni, dopo aver criticato ferocemente i precedenti governi per aver fatto altrettanto, significa che la tenuta della compagine che siede a Palazzo Chigi è tutto tranne che scontata. Le «voci» di possibili dimissioni del ministro Giovanni Tria, pur smentite, sono la riprova dei dissidi fra Lega e Movimento 5 Stelle sulle ricette economiche e tra guide politiche e scelte tecniche, rispetto alle urgenze che il Paese deve affrontare. In questo senso la figura di garante del presidente della Repubblica Sergio Mattarella pare rappresentare un sicuro baluardo, sia agli occhi dell’Unione europea, sia agli occhi dell’opinione pubblica. L’applauso tributatogli venerdì sera al Teatro alla Scala in occasione della Prima lo conferma in modo cristallino.