Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, l’ha definita «una tempesta drammatica e perfetta che si abbatte sul tessuto produttivo del Paese». Un’«escalation senza precedenti dei prezzi dell’energia, in particolare nel mercato elettrico e del gas naturale» che impone un confronto urgente con il governo. Non è una battaglia politica. Le bollette che le imprese si trovano a pagare da qualche mese sono ogni volta più pesanti e imparagonabili a quelle emesse fino allo scorso marzo. Paradossalmente è il prezzo che la ripresa in corso ci chiede di pagare. Il mondo produttivo, archiviata la stagione dei lockdown, si trova di fronte a un’inaspettata domanda. Diverse le cause della brusca impennata dei costi dell’energia. Alcune sono di carattere politico. La crisi fra Algeria e Marocco ha comportato il fermo del gas che ha messo in difficoltà la Spagna. Costretta ad approvvigionarsi dai Paesi del Nord Europa. Poi ci sono motivi di natura più tecnica. La domanda dell’industria manifatturiera, cresciuta in Italia come in Germania, ha fatto esplodere i prezzi. Il gas costa oggi 5-7 volte di più rispetto ad aprile. E i rincari sono un meccanismo contagioso che si estende agli altri prodotti energetici, petrolio in testa. Chi ha la mano sui rubinetti, ci specula e questa è un’ulteriore causa. C’è però anche un altro paradosso. A scatenare la tempesta perfetta è la corsa alla transizione ecologica. Un traguardo da tagliare in tempi troppo stretti per riuscire a rallentare la ripresa effervescente che ha fatto crescere la domanda e, di conseguenza, i prezzi. Un tema centrale per l’Italia alle prese con le scadenze del Pnrr. Cosa è realistico che si riesca fare nei quattro anni concessi dall’Ue? Qual è il punto di equilibrio fra innovazione, conversione all’economia verde ed eccesso di domanda concentrato in un tempo troppo breve? Il rischio è di vanificare gli sforzi messi in atto per l’auspicata transizione ecologica. La riconversione al green richiede grandi investimenti. Occorrerebbe chiedersi se sia davvero possibile farli in quattro anni o se non ne servano, piuttosto, sette. Anche considerando, come stiamo vedendo, che un surriscaldamento della domanda si porta dietro un’inevitabile speculazione da parte di chi ha le materie prime. Dunque, che fare? Come venire incontro agli appelli degli industriali? Una strada è sicuramente l’accordo quadro con i fornitori da firmare a livello europeo. L’ha suggerito Ursula von der Leyen e la sua proposta ha già raccolto dei sì. Anche di Mario Draghi e della Germania. Ma la strada non è tutta in discesa. Senza una soluzione, però, ai rincari seguirà l’inflazione, con pericolose ricadute sul piano finanziario.
Editoriale e CommentoLe bollette care e il costo della ripresa