Fra i numerosi ricordi che un indimenticabile maestro di giornalismo ci ha lasciato, c’è la metafora dei flaconi di profumo da custodire sulla scrivania per “abbellire” articoli e notizie, quando la materia prima è scarsa o miserevole. Ne doveva avere a litri, di profumo, Tiziana Morandi, la Mantide della Brianza, impiegati per costruire il castello di bugie su cui ha fondato i furti a danni di uomini abbindolati a suon di lusinghe e poi storditi a colpi di narcotici. Le menzogne raccontate sui social. Gli incontri amorosi che diventavano incubi per le vittime. Persino le foto pubblicate in rete, a quanto sembra “truccate” ad hoc per simulare un’avvenenza che – almeno in certe proporzioni – non le apparteneva. Non stupisce, quindi, che la nuova condanna inflittale sia motivata da un’accusa di calunnia, per la versione di fantasia rifilata ai giudici nel tentativo di giustificare una delle sue malefatte. Sempre quel maestro di cui sopra era solito ammonire a non esagerare con il profumo. Si rischia di lasciare una scia tutt’altro che gradevole.
Editoriale e CommentoFlaconi di profumo