Sessant’anni portati tutto sommato bene. La metropolitana milanese ha festeggiato ieri la piena maturità dopo essersi appena regalata una nuova linea, la M4, e sognando già la prossima “creatura”, la M6 (vista l’età bisognerà ricorrere alla procreazione assistita… dallo Stato). Non avrà il fascino che la storia ha regalato alle sorelle più anziane di Londra, Mosca o Budapest; non sarà una star di Hollywood come quella di New York, né avrà il romanticismo di quella snob di parigina quando attraversa all’aria aperta la Senna regalando scorci sulla Torre Eiffel; è più umile di quella rampante della madrilena, che col suo spirito da conquistador ha raggiunto in pochi anni i 294 chilometri d’estensione; eppure il metrò di Milano, come si diceva agli albori dell’avventura sotto terra, quando si decise di mutuare il genere maschile e la pronuncia alla francese, almeno in Italia è “la” metropolitana.
Iconica, con un design che la rende ancora oggi unica, celebrata in film e pubblicità, efficiente e veloce pur con qualche acciacco dovuto all’età. Quando vuole, sa sorprendere: la visione della facciata monumentale della cattedrale che appare salendo le scale della fermata Duomo emoziona sempre i turisti. E se ci si mette, sa anche incutere paura. Durante i lavori di scavo all’altezza dell’attuale fermata Cadorna, la leggenda racconta che si aprì all’improvviso una voragine. Gli operai scapparono via terrorizzati: quel buco avvolto nel buio più profondo fu subito ribattezzato la “porta dell’inferno”. Insomma, le colleghe di Roma, Torino, Napoli o Genova si rassegnino. Se la Tube londinese è considerata la chiesa madre di tutte le metropolitane del mondo, in Italia la figlia primogenita di Londra è soltanto lei.