Vivere senza social? È ormai praticamente impossibile e personalmente non lo ritengo neppure utile e necessario. Appartengo a una generazione, quella dei cosiddetti Millennials, che ha ampiamente contribuito alla loro nascita e alla loro espansione. Una generazione che, però, per motivi anagrafici, conserva ancora una memoria del “prima”. Di quella società analogica fatta di telefoni fissi, amici chiamati al citofono e viaggi in treno trascorsi ascoltando musica (cassette, cd, mp3).
Il punto non è quanti account si abbiano, quanto li si usi o per quale motivo (lavoro o semplice svago) ma a mio parere è fondamentale fare in modo che non siano i social a definire chi siamo. Ben vengano follower, interazioni, commenti. Ma – anche se non sempre è facile – è fondamentale mettere dei paletti tra reale e virtuale, allargare lo sguardo dallo schermo a chi ci sta attorno. Un esempio? A Milano, proprio sulla scia dei rischi del “ritiro online” (spinto anche dalla pandemia), è nato uno speciale corso di “empatia”.