Arnaldo Liguori
Arnaldo Liguori
Editoriale e Commento

Quelli senza cuffie sui treni

Storie di quotidiane sventure ferroviarie e sogni di invasioni giapponesi

I treni in Giappone sono proverbialmente tranquilli, perché stare in silenzio e non telefonare è un segno di rispetto e cortesia verso gli altri

Ho 32 anni e ho avuto l’incresciosa fortuna di trascorrerne 14 da pendolare sui treni. E come se non bastassero tutte le calamità che la provvidenza infligge quotidianamente alle legioni di sventurati che percorrono le ferrovie italiane – tra cui ritardi, cancellazioni, scioperi, vagoni sovraffollati, capitreno inflessibili e sistemi di climatizzazione conformi all’inferno dantesco – il nuovo millennio ne ha partorito un’altra: i viaggiatori senza cuffie.

Senza cuffie o auricolari, ma desiderosi di parlare in vivavoce, videochiamare, ascoltare musica o scrollare qualche migliaio di dimenticabili video sui social media. Tutto ad alto, altissimo volume. Stanno lì con lo smartphone in mano. Felici di condividere fatti privatissimi con decine di sconosciuti o sottoporre all’altrui giudizio i loro deprecabili gusti musicali. Insensibili agli sguardi rancorosi dei vicini e al fastidio malcelato dell’intero vagone. Araldi instancabili di quello stereotipo che ci ritrae come un popolo di rumorosi caciaroni che, del prossimo, se ne frega.

E finisce che un pendolare lì a fianco, accerchiato e sconfitto da quel chiasso ineluttabile, già provato da ritardi, cancellazioni, scioperi eccetera di cui sopra, si ritrovi a sognare un’invasione delle truppe giapponesi sulle nostre coste, l’instaurazione di uno shogunato italiano e, con esso, l’avvento di quella dittatura del silenzio che sui treni nipponici regna, da due secoli, pacifica e imperturbata.