SANDRO NERI
Editoriale e Commento

Meno norme più manuali

Prima di tutto un numero certo: quota cento

Milano, 12 maggio 2019 - Prima di tutto un numero certo: quota cento, tra i principali provvedimenti del governo gialloverde, determinerà nel 2019, solo nella pubblica amministrazione, 100.000 esodi dal lavoro. Già oggi sono 44.000 le domande presentate. Ma la misura previdenziale ha due facce. Da un lato priva la pubblica amministrazione di esperienze consolidate; dall’altro offre l’opportunità di inserire nel settore pubblico professionalità più adatte alle attuali esigenze delle amministrazioni centrali e locali. Vanno in pensione diplomati e laureati in giurisprudenza, mentre servono ingegneri, project manager, economisti ed esperti digitali. La pubblica amministrazione ha una montagna di dati da gestire. Un patrimonio inestimabile per chi deve prendere decisioni a ragion veduta, basandosi sui numeri e non sulle opinioni. Sarebbe uno spreco in questa situazione replicare le inefficienze, assumendo le stesse figure sulla base di piante organiche ormai vecchie. La digitalizzazione della pubblica amministrazione non può ridursi all’introduzione dell’informatica nelle vecchie procedure.

Un certificato inutile, infatti, rimane tale anche se in formato elettronico. C’è invece bisogno di persone in grado di ripensare i processi per una pubblica amministrazione che diventi nativa digitale. Carlo Mochi Sismondi, presidente del Forum Pa, è perentorio: «Introdurre giovani e nuovi profili senza cambiare i modelli organizzativi e i contratti vuol dire mettere vino nuovo in botti vecchie e, quindi, rovinare l’uno e l’altro». Fuor di metafora, nell’attuale organizzazione appare difficile inserire un progettista di sistemi o un Data Scientist, solo per citare due delle nuove figure professionali. Di questo tema si occuperà, a partire da martedì, il Forum Pa in programma a Roma e che vedrà il ministro Giulia Bongiorno portare la strategia del governo a un confronto con le aziende e con i vertici dell’amministrazione. Un’occasione per dimostrare l’impegno del governo su un tema che dovrebbe vedere tutti i partiti fare fronte comune, al di là delle attuali divisioni fra Lega e Movimento 5 Stelle che rischiano di far passare in secondo piano obiettivi strategici per il futuro del Paese. L’esecutivo in carica ha davanti grandi sfide. A cominciare dal nuovo assetto della dirigenza pubblica, tema incompiuto nella riforma del precedente governo. Allora i dirigenti si opposero fermamente a una riduzione della durata degli incarichi, temendo un’ingerenza della politica. Risultato: tutto è rimasto come prima. Compresa quella giungla retributiva che porta dirigenti con responsabilità simili ad avere retribuzioni anche molto diverse, a seconda del peso politico dei ministeri in cui lavorano. Perché il governo Conte possa lasciare un segno in questo ambito non servono riforme epocali. Basta attuare le (troppe) leggi già esistenti. Meno norme, più manuali.