SANDRO NERI
Editoriale e Commento

La riforma che spaventa

A un mercato dell’occupazione bisognoso di maggiore flessibilità - rilevano in tanti - si risponde irrigidendo il sistema

Milano, 8 luglio 2018 - La controriforma del lavoro, varata dal governo con il Decreto Dignità e con l’intento dichiarato di affossare le linee ispiratrici e i contenuti concreti del Jobs Act, sta ricevendo commenti critici all’unisono dal mondo delle imprese, dei professionisti e dagli esperti giuslavoristi internazionali. Senza contare che ha inasprito le tensioni tra i due partiti della maggioranza di governo.

A un mercato dell’occupazione bisognoso di maggiore flessibilità - rilevano in tanti - si risponde irrigidendo il sistema. L’esatto opposto di quanto reclamato a gran voce dalle aziende, che invece assistono sgomente all’incapacità di comprendere le esigenze delle attività produttive in tema di inquadramento lavorativo. «Per decreto non si creano posti di lavoro, ma con un decreto i posti di lavoro si possono distruggere», ha commentato Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia. Secondo il numero uno degli industriali lombardi, infatti, oggi le imprese considerano i lavoratori un patrimonio su cui investire, ma occorre capire che il posto fisso non c’è più, e che è meglio firmare un contratto a tempo determinato che ritrovarsi senza contratto. Provvedimenti come “Industria 4.0” hanno convinto le imprese a investire, si sono rivelati positivi per la fiducia, per spingere industriali e artigiani a impegnare risorse preziose, anche sulla scorta di segnali di ripresa intravisti per la prima volta dopo un decennio di crisi profonda. Al contrario, con il ritorno della causale obbligatoria nei contratti a termine dopo i primi 12 mesi, l’abbattimento del termine di durata massima dei contratti a due anni, la riduzione del numero delle proroghe e la stretta sulla somministrazione, oltre all’aumento dei costi per i rinnovi, rischiano di produrre a breve effetti depressivi sull’occupazione, minando pure la fiducia degli investitori internazionali sul nostro sistema-Paese. I primi effetti delle temute denunce si vedranno proprio nei distretti produttivi “motori” dell’economia italiana, in particolare in Lombardia, dove l’occupazione c’è ma rischia di essere frenata - a detta degli industriali - e, anzi, convertita in disoccupazione con lo smantellamento delle linee-guida europeiste e riformatrici del Jobs Act.

«Sconsiglieremo da subito alle nostre imprese di stipulare e rinnovare contratti a tempo determinato», annuncia il segretario generale dell’Unione Artigiani di Milano e Monza-Brianza, Marco Accornero. La modifica agli indennizzi in caso di licenziamento illegittimo, la cui soglia massima è stata innalzata da 24 a 36 mensilità, causa grande preoccupazione fra le imprese artigiane. Viene meno di fatto il modello del contratto a tutele crescenti, e si intravedono forti aumenti di contenziosi e, nel complesso, l’avvio di una fase controriformista in cui vincoli rigidi e maggiore burocrazia scoraggeranno le assunzioni. A rischio, secondo una stima dell’associazione di categoria artigiana, ci sarebbero 20mila posti di lavoro nelle pmi lombarde, fino a 100mila in tutto il Paese. Una riforma pensata per offrire più stabilità e tutele rischia dunque di trasformarsi in un decisivo fattore di esclusione dal mondo del lavoro proprio dei più deboli che, forse, avrebbero invece maggiore necessità di disporre, come del resto le imprese, di strumenti alternativi e flessibili di welfare e di maggiori incentivi alla produttività individuale. In molti dunque auspicano profondi correttivi al testo in Parlamento. Non è una questione ideologica, ma più semplicemente pratica. Peraltro il decreto sembra aver allargato il fossato tra Lega e Cinque Stelle sui temi del lavoro, considerate le riserve manifestate da alcuni esponenti del Carroccio, soprattutto delle regioni del Nord.