IVAN ALBARELLI
Editoriale e Commento

Se andare in bici è una roulette russa

La morte di Francesco Caputo, in una città quotidianamente assediata dalle macchine

Aveva scelto Milano per laurearsi in ingegneria biomedica, consapevole del livello di eccellenza del Politecnico, si spostava con le bici del bike sharing scegliendo una modalità di trasporto preferita da tanti ragazzi della sua generazione. Chissà, un giorno avrebbe riportato il suo sapere e i suoi talenti in Salento, da cui proveniva, per tornare ad arricchire una terra spesso depauperata delle sue forze migliori. Probabilmente amava Milano, Francesco Caputo, il giovane di 35 anni morto dopo dieci giorni di coma. I suoi sogni si sono infranti contro lo sportello di un'auto parcheggiata, che l'ha travolto mentre pedalava in via Soperga. Viene da piangere a pensare al dolore straziante di una famiglia, giù in Puglia, che ha perso così un figlio.

Fa rabbia vedere che un altro ciclista sia morto in una città dove, ancora nel 2024, muoversi in bici è un azzardo a rischio della vita. Dove le auto la fanno da padrone. Un assedio quotidiano di clacson, rumore, svolte vietate che diventano permesse, marciapiedi usati come posteggi, smog, che negli ultimi quattro anni è addirittura peggiorato. Un mostro di lamiere, che come tutti i mostri ogni tanto esige una vittima sacrificale. Un pedone, un ciclista. Consapevole che la memoria è corta e tutto prima o poi si dimentica.