Il calcio come forma d’integrazione, inclusione e antidoto a derive antisociali o addirittura criminali. Lo sport è sempre riuscito, pur senza possedere la bacchetta magica, a dare a tanti ragazzi e ragazze una chance per uscire dall’isolamento, stringere amicizie, relativizzare i propri problemi, sfidare i limiti che a volte ci si autoinfligge. La squadra milanese del Sant’Ambroeus è riuscita a fare oltre a tutto questo, qualcosa di ancora più significativo. Che sembra quasi un piccolo miracolo del Santo protettore ambrosiano. Riunire attorno a un pallone, al centro sportivo Cameroni a Gorla, come racconta Giulio Mola oggi, ragazzi provenienti da quattro continenti, dal Gambia all’Iran, dall’America Latina all’Ucraina. Lingue, culture, storie personali il più delle volte tribolate, che invece di chiudere ognuno nella sua bolla uniscono.
Attorno ci sono poi centinaia di tifosi altrettanto entusiasti. Una bella storia di gol, sudore, passione e successo – a partire dall’attuale stagione sportiva, a sette anni dalla nascita, è stato avviato anche un progetto di azionariato popolare per sostenere la Sant’Ambroeus – che non poteva che nascere a Milano. Perché come disse più di vent’anni fa l’allora sindaco di Roma Rutelli al primo cittadino milanese, Gabriele Albertini, “una cosa che invidio a Milano sono i milanesi: non c'è un'altra comunità, certo in Italia, che sia nel presente sia nel passato si sia caratterizzata per tanta capacità di fare, di impegnarsi, di migliorarsi, di accogliere, di inventarsi una nuova vita".