Arnaldo Liguori
Arnaldo Liguori
Editoriale e Commento

Terzo mandato, in teoria

Cosa dicono le scienze politiche sui limiti ai mandati politici

Continua il dibattito sulla questione del terzo mandato

Continua il dibattito sulla questione del terzo mandato

Prima i presidenti del Veneto e della Campania, ora il sindaco di Milano: la tentazione del terzo mandato si aggira da tempo tra le sale dei governi territoriali. Ma se la riflessione pubblica spesso riguarda gli aspetti giuridici della questione – si cambia la legge, non si cambia, come si cambia – è sugli aspetti politici che andrebbe spesa qualche parola in più. In particolare sulla politica teorica, quella che affonda in secoli di repubblicanesimo e liberalismo.

Nel migliore dei mondi possibili, quello pensato da non pochi filosofi e sociologi, limitare i mandati politici ha diverse funzioni. Permette ai cittadini di informarsi ed esprimersi su nuove idee. Impedisce che una figura diventi troppo influente o centrale, preservando così l’idea che le istituzioni siano più importanti dei singoli individui. Evita che un solo stile di governo o una sola visione diventi dominante per lungo tempo, promuovendo innovazione e adattamento ai cambiamenti sociali. Infine – e qui ripeto, parliamo di teoria – una permanenza prolungata in carica può favorire la formazione di reti di interessi personali e clientelari.

Ora, quello in cui viviamo non è certo il mondo immaginato “sulla carta” dai politologi: nessun mandato è uguale a un altro e i limiti differiscono da Paese a Paese. Ma resta il principio, usando le parole di Piero Calamandrei, che il “continuo ringiovanimento della classe dirigente è la prima condizione di vitalità d’ogni sana democrazia”.