IVAN ALBARELLI
Editoriale e Commento

Se Vecchioni suona l’allarme

Il cantautore milanese ha parlato di “gente che muore di fame”, e non voleva essere un modo di dire

Le proteste sempre più diffuse di chi, impiegato soprattutto nei settori cosiddetti della "bassa manovalanza", chiede turni di lavoro più umani e stipendi dignitosi, i numeri dei pasti erogati dalla mensa solidale Ruben che sono stati ben 60mila in un anno. Il lavoro sempre più povero nella città più cara d'Italia, dove nemmeno ore su ore di straordinari garantiscono a una fetta consistente di persone di arrivare senza affanni a fine mese. Gli affitti. Per fare un esempio, oggi si pagano in media fra i 700 e gli 800 euro di affitto mensili, quando va bene, per una stanza arredata al minimo con un letto e un armadio. Spese extra escluse ovviamente.

A Milano e nella sua area metropolitana il divario sociale generato in larghi strati della popolazione dall'incrocio fra costo della vita e bassi salari non è una novità. Eppure, se non sono le mobilitazioni dei sindacati, o le parole di qualche personalità di spicco come può essere Roberto Vecchioni ("nella Milano di oggi c'è gente che muore di fame" ha detto), sembra che nessuno voglia far diventare la questione una priorità nella metropoli abituata ad andare sempre di fretta. È vero, Milano è anche la città col "cuore in mano". Vanta una straordinaria rete di associazioni di volontariato. Ma fino a quando potrà bastare l’affidarsi a parrocchie, cittadini volonterosi ed enti di beneficenza?