DANIELE DE SALVO
Cronaca

Storia della famiglia Galbusera, pastori da quattro generazioni: “Non si diventa ricchi, ma lo vuole fare anche mio figlio di 11 anni”

Andrea Galbusera, 36 anni, governa un gregge di tremila pecore sempre in movimento tra Brianza e Valsassina: “Non macelliamo agnelli e alleviamo i nostri capi senza sfruttarli: per questo anche gli animalisti non ci criticano”

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Andrea Galbusera, il pastore di Colle Brianza

Era pastore di pecore suo nonno, lo è suo papà Franco, lo è suo zio ed è pastore di transumanza anche lui. Andrea Galbusera ha 36 anni, abita a Colle Brianza, ma a casa non ci stia praticamente mai, sempre in giro come un nomade con le sue pecore, sui pascoli in montagna durante la bella stagione, nei prati a valle in autunno e inverno. È l’ultimo discendente di una famiglia di pastori.

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Una famiglia di pastori da quattro generazioni

Ultimo per adesso, perché suo figlio, che ha 11 anni, da grande vuole seguire le orme di famiglia e fare come papà: già oggi d’estate lo segue in alpeggio, in Valsassina, e prima dell’inizio della scuola lo accompagna verso la pianura, in Brianza, durante la transumanza.

Quando ha deciso di fare anche lei il pastore?

“Da piccolo. Non ho mai voluto fare altro. Mia mamma non voleva e mi ha chiesto almeno di finire le superiori. Io l’ho accontentata, ma a modo mio. Mi sono diplomato alle serali, così di giorno potevo stare con le nostre pecore. Sono diventato geometra. “Almeno ho imparato a fare recinti diritti“, scherzavo con i miei professori”.

Si riesce a vivere, oggi, facendo il pastore?

“Non si diventa certo ricchi, ma si arriva a fine mese e tanto mi basta. Mantengo mia moglie e mio figlio senza far mancare loro niente. È impegnativo: non ci sono sabati, domeniche, feste comandate; l’orologio e l’orario di lavoro non esistono. Spesso sono assente. Io comunque non cambierei mai per nulla al mondo. A volte mi spiace solo non godermi appieno mio figlio, lui però è contento di quello che faccio. Inoltre il sorriso dei bambini e i saluti delle persone quando passiamo in mezzo ai paesi mi ripagano di tutti i sacrifici”.

Quante pecore ha?

“Con mio padre abbiamo un gregge di circa tremila pecore. Sono pecore da carne, perché durante la transumanza non saremmo in grado di produrre formaggi”.

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Il gigantesco gregge in strada

Gli animalisti vi criticano?

“Capita, ma le persone sono più intelligenti di quanto ci vogliano far credere. Basta raccontare la verità ed essere trasparenti. Noi non macelliamo agnellini, non ne avremmo il cuore e non ci conviene, sarebbe controproducente. Macelliamo solo capi adulti, che hanno più carne. Noi trattiamo bene i nostri animali, li alleviamo nel modo più naturale che ci sia, senza sfruttarli, curandoli al meglio, non come negli allevamenti intensivi”.

E la lana?

“La lana è solo un costo, è considerata un rifiuto speciale. Paghiamo sia per tagliarla sia per smaltirla. Ogni pecora all’anno ne produce circa un chilo. Non sappiamo che farcene, ma tosiamo lo stesso i nostri animali per alleggerirne il vello e farli stare meglio. Vorremmo coprire almeno il prezzo della tosatura, anche senza guadagnarci. Un tempo la lana serviva per imbottire i materassi, oppure confezionare le calze invernali e altri vestiti pesanti. Ora non c’è nessuno che la ritira. È un peccato, potrebbe magari diventare un isolante ecologico”.

A un suo collega il mese scorso sono morte avvelenate quasi 500 pecore. Ha paura?

“Certo, perché potrebbe succedere a chiunque di noi. Per questo spero che chi di dovere chiarisca in fretta ciò che è successo. Sono anche arrabbiato: è da vigliacchi prendersela con animali inermi e ucciderli in un modo così atroce”.