Lecco, 18 gennaio 2024 – Il Cai Lecco voleva puntare al Fitz Roy, il Cerro Torre pareva troppo rischioso per festeggiare i 100 anni di fondazione. Casimiro Ferrari “crapone“, insiste: "Quella montagna è nostra, c’è un lavoro da finire" e trascina tutti: alla fine i 27 Ragni votano compatti per un nuovo tentativo dopo quello fallito con la spedizione del Cai Belledo del 1970. È una delle tante “sliding doors“ dietro l’impresa sulla Ovest del Cerro Torre raccontate dal giornalista Giorgio Spreafico e dal “maglione rosso“ Serafino Ripamonti.
La serata
Occasione la serata organizzata dalle istituzioni (capofila la Comunità Montana) per celebrare l’anniversario a cinquant’anni esatti (13 gennaio 1974-13 gennaio 2024) insieme ai superstiti e al mondo della montagna lecchese. Tra loro Pietro Ravà, che nel 1970 c’era. "Casimiro? Gli sarei andato dietro fino all’inferno", dice sul palco di sala Ticozzi e facendo intuire la “garra“ del capo spedizione. Scelta la montagna, c’era il problema dei soldi: si stima un costo di 14 milioni di lire, 135mila euro di oggi. Felice Anghileri, al tempo presidente Cai Lecco, ricorda con un sorriso fiero: "Lecco ha risposto alla mie questue, tanto che si raccolse più del necessario". Ora si può partire alla volta della Patagonia dove i Ragni possono contare sull’appoggio logistico di padre Giovanni Corti, missionario lecchese nella Terra del fuoco.
La salita
L’attacco alla parete il 24 dicembre 1973 dopo aver fatto la spola, con materiali e viveri caricati su slitte trainate per chilometri sul ghiacciaio Viedma (parte dello sterminato Hielo Continental), dal campo base alla laguna Toro ai successivi campi: Paso Viento, Circo degli altari, fino al campo 3 allestito al Filo Rosso. Salendo la cordata ritrova il crepaccio orizzontale scoperto alla base dell’Elmo nella salita del ‘70: sarà decisivo. L’altra svolta arriva quando i viveri cominciano a scarseggiare e bisogna fare delle scelte: Gigi Alippi, vice di Ferrari, decide di scendere insieme ad altri sette. Tra loro anche Giuseppe Lafranconi: "Ha pesato a tutti mollare ma eravamo un gruppo vero e questo è stato decisivo per la riuscita". Ferrari li congeda così: "Se non arriviamo per il 16-17, veniteci a prendere", come se si trattasse di una cosuccia da nulla.
In vetta
Alle 17.45 del 13 gennaio 1974 i quattro - Casimiro Ferrari, “Mariolino“ Conti, Pino Negri e Daniele Chiappa - sono in vetta. "Noi l’abbiamo saputo solo il 16, via radio, da un gendarme argentino quando eravamo già all’estancia degli Alvorsen a chilometri di distanza". Lo stesso giorno padre Corti dà la conferma al telefono al presidente Anghileri. Pino toglie il suo maglione rosso, “Zenin“ il casco e li piazzano sopra un pupazzo di neve allestito in vetta. Poi si scende ancorati a un corda da 5 millimetri, il primo è Negri.
La festa
La spedizione rientrerà in Italia il 29 gennaio 1974, dopo 70 giorni di cui solo 7 di scalata. "Erano in trecento all’aeroporto di Linate ad accoglierli", ricorda Spreafico citando Sergio Ghiraldini, un altro “ragno“ che lavorò come tantissimi “dietro le quinte“. Hanno tutti visi tirati e barbe lunghe, tranne Mariolino, Zoia e Ferrari che è il più curato per l’occasione. Quello stesso giorno gli “eroi“ vengono ricevuti dal sindaco Guido Puccio a villa Manzoni. In 1.300 riempiranno il cineteatro Marconi e una seconda serata verrà organizzata al Palladium. Si festeggerà anche al Cai Belledo con “una torta a forma di Cerro Torre che Daniele Chiappa dimostra di apprezzare molto“.
Il lascito
Cosa resta di quell’impresa 50 anni dopo? Sentite Laura Ferrari, figlia di Casimiro: “Carlo Mauri ha fatto conoscere la Patagonia a Casimiro e Riccardo Cassin lo ha supportato senza oscurarlo“. Robi Chiappa: "A quel tempo avevamo una piccola azienda meccanica: io ero già stato nel ’70 e era giusto toccasse a Daniele". Storie di uomini e fratelli, storie di montagne e di una città che allora sembrava muoversi come un’unica cordata.