DANIELE DE SALVO
DANIELE DE SALVO
Cronaca

Covid, il sopravvissuto: ''Sono passati 5 anni ma non dimentico i nostri angeli azzurri''

La testimonianza di Ferruccio da Cernusco Lombardone,, ex vigile del fuoco di 61 anni, nel 2020 ricoverato per 39 giorni a causa del coronavirus

Ferruccio Amonini

Ferruccio Amonini

Cernusco Lombardone (Lecco), 15 marzo 2025 – 14 febbraio 2020, un sabato, 5 anni fa come oggi. E' tardo pomeriggio e già buio. Sembra inverno più che l'ultimo week end prima della primavera. La febbre alta, il fiato corto, l'aria che manca, la fronte rovente e gli occhi che bruciano per il dolore fisico e la paura. Covid: non c'è bisogno di un medico per diagnosticarlo. Ferruccio chiama un amico: “Accompagnami in ospedale per favore”. In macchina entrambi tengono davanti al volto una mascherina da verniciatore, i guanti in lattice indosso e i finestrini completamente spalancati, nonostante il freddo e la nebbia e che invade l'abitacolo. Alle porte del Pronto soccorso del San Leopoldo Mandic i due si salutano a distanza con un cenno di mano, in fretta, non perché non abbiano tempo, ma per non piangere l'uno davanti all'altro. Non possono nemmeno abbracciarsi, le regole anti-contagio lo vietano. Ferruccio varca la porta dell'ospedale, l'amico torna a casa, senza sapere se mai si rivedranno ancora.

Il ricovero

E' l'inizio di un incubo a occhi aperti per Ferruccio Amonini, ex vigile del fuoco volontario in congedo di 61 anni di Cernusco Lombardone, 56 quel giorno. Immediato il trasferimento in Terapia intensiva del reparto di Pneumologia, con il casco della c-pap sempre addosso che amplifica il rumore del respiro e non lascia chiudere occhio. Attorno gli altri compagni di stanza muoiono come mosche. Il 21 marzo muore a casa pure papà Fiorenzo, 81 anni, probabilmente portato via anche lui dal Covid, senza nemmeno vederlo per l'ultima volta, con la pena della perdita che diventa immotivato senso di colpa per un padre andato via da solo, senza stargli accanto nel momento estremo. Il terrore di non cavarsela neppure lui non è solo un timore, si trasforma in certezza una certezza, che rode la mente, come un tarlo che scava in continuazione e libera i pensieri più neri. “In un giorno ne ricoverano 10 e ne morivano 8, poi mi papà, il dramma nel dramma – racconta Ferruccio -. Ero sicuro che sarei morto anche io. Due volte, non so come, mi hanno riportato indietro dalle porte di San Pietro. Non sapevo più a che santo votarmi. ''Forza, non mollare'', mi ripetevo in continuazione”.

La guarigione

Poi pian piano il respiro ritorna, inizialmente lento, dopo sempre più veloce, le condizioni di salute migliorano, i parametri si stabilizzano. Via il casco della c-pap, via il respiratore, infine la guarigione, le dimissioni e il ritorno a casa, 39 giorni dopo. A riportarlo a casa da mamma Pia, i due figli giovani, la sorella Ornella malata di tumore verso le farsi terminali, lo stesso amico del viaggio verso l'ospedale. “Ho sconfitto il drago bastardo del coronavirus”, ricorda Ferruccio, ancora incredulo, ancora commosso quando ricorda quegli interminabili 39 giorni, il papà mancato e sepolto senza di lui e senza un funerale, i compagni di ricovero che sono spirati sotto i suoi occhi. “A distanza di 5 anni ancora ringrazio ogni giorno i miei angeli azzurri – si commuove Ferruccio -. I medici, gli infermieri, le oss. Sono stati veramente grandi. Bracolavano anche loro nel buio, ma mi hanno salvato. E poi il buon Dio e mio papà Fiorenzo che in qualche modo hanno guardato giù. Non posso e non voglio dimenticare quello che ho vissuto in prima persona, i morti, soprattutto i nostri angeli azzurri”.