DANIELE DE SALVO
Cronaca

Poliziotto morto, la lenta agonia dell'eroe: 6 ore sotto la lente della Procura

Percorsi una novantina di chilometri, l’odissea dell’agente ferito

L'ultimo saluto di Anna all'agente morto Francesco Pischedda

Colico, 7 febbraio 2017 - Cinque ore per essere trasferito in ospedale a Lecco, quasi sei per morire. L’agente scelto della Polizia stradale di Bellano Francesco Pischedda, che ha perso la vita a 29 anni ancora da compiere dopo essere precipitato da un cavalcavia della Super a Colico, al termine di un inseguimento a piedi di un fuggitivo, è approdato all’Alessandro Manzoni di Lecco solo all’una di notte. I sanitari del Pronto soccorso lo hanno portato subito in sala operatoria, ma durante l’intervento il suo cuore ha cessato di battere per sempre a causa di una grave emorragia aortica toracica. I tentativi di rianimarlo si sono rivelati inutili e, poco prima delle 2, non hanno potuto altro che dichiararne il decesso, all’una e cinquanta in punto, 330 minuti dopo la prima richiesta di aiuto.

L’allarme è scattato infatti alle 20.20, quando i due colleghi di pattuglia del poliziotto lo hanno sentito urlare. Nel buio hanno impiegato alcuni istanti a realizzare quanto successo e ad individuarlo ai piedi del ponte, in fondo al dirupo tra le due corsie della Statale 36, in via al Chiarello. I volontari della Croce rossa di Colico e del Soccorso bellanese sono stati i primi ad arrivare nel giro di un quarto d’ora, seguiti quindici minuti dopo dal dottore dell’automedica di Bellano. I feriti sono due: la guardia e il ladro, entrambi gravi, ma quello messo peggio pare il fuggitivo, sebbene anche il poliziotto abbia «la pancia dura come un pezzo di legno», segno che è gonfia di sangue.

Per questo il medico chiede di inviare i rinforzi. Intanto la lancetta dell’orologio corre, il poliziotto è sempre a terra, i colleghi cercano di tranquillizzarlo, lui è cosciente, parla, soprattutto grida per il dolore, qualcuno dei residenti porge una coperta per riscaldarlo, altri insultano il ladro e incitano i soccorritori a lasciarlo «crepare». Per guadagnare tempo prezioso si decide di cominciare il viaggio verso Gravedona e di incrociare l’autoinfermieristica del Moriggia Pelascini a metà strada, ma quando la lettiga parte l’autoinfermieristica ormai si trova a duecento metri di distanza. L’agente alla fine alle 22.20, venti minuti e diciassette chilometri dopo, approda al Moriggia Pelascini di Gravedona ed Uniti.

Tutto è pronto per operarlo, i medici però si trovano davanti una situazione completamente diversa rispetto a quella prospettata, il paziente necessita di un cardiochirurgo, ma nella struttura non c’è. Viene così deciso di trasferire nuovamente l’agente, stavolta verso Lecco, esattamente dall’altra parte del lago, a 57 chilometri di distanza. Si chiede la disponibilità dell’elisoccorso di Como, ma a causa delle condizioni meteo i piloti di Villa Guardia non possono decollare e sono costretti a declinare la richiesta di intervento. Non resta che procedere via terra, lungo la provinciale Regina prima e poi la superstrada Milano–Lecco, ripassando dallo stesso identico punto dove si è verificato l’incidente. Prima inoltre si deve stabilizzarlo, provare a ridurre le fratture, perché in quello stato non è trasportabile, ma per eseguire la Tac e le manovre ci vuole tempo, solo dopo mezzanotte si riesce a caricarlo per la seconda volta sull’ambulanza. Piove, la strada è bagnata e scivolosa, a tratti la visibilità è ridotta a poche decine di metri dalla nebbia e il paziente è critico, occorre muoverlo con cautela. Per questo Francesco arriva a Lecco appena intorno all’una, e cinquanta minuti più tardi, muore. Spetterà all’inchiesta aperta in Procura a Lecco stabilire se questa odissea finita in lutto poteva essere evitata e se ci sono responsabilità.