Lecco, 18 gennaio 2025 - “Un piccolo guscio, fragile, vulnerabile nel mare in tempesta. Perché probabilmente era così Jennifer, anche se all'apparenza era forte, era esuberante, era piena di vita”. È il ritratto di Jenny, la ragazzina di 13 anni che giovedì è morta dopo sette giorni di coma irreversibile, in seguito ad un incidente stradale, avvenuto all'alba di venerdì scorso ad Abbadia Lariana. Lo ha dipinto, con delicatezza don Bortolo Uberti, parroco di Lecco,durante il funerale. Davanti a lui e quanti hanno partecipato alle esequie, la foto di Jenny, che mostra una ragazza bella, con i capelli neri, gli occhi grandi e castani, il piercing al naso e al labbro superiore, il volto truccato, per sembrare più forte, esuberante, piena di vita sebbene fosse fragile e vulnerabile.
Ma don Bortolo ha voluto rivolgere un monito e insieme un invito anche agli amici e ai compagni di Jenny: “La vita non è un video sui social, non è un reel che ricomincia sempre da capo. La vita è unica, la dovete custodire. La dovete rendere meravigliosa”. Il riferimento è, anche, ai video che sia lei, sia Michele - l'amico di 19 anni con cui Jenny era in macchina - hanno girato poco prima dello schianto, mentre Massimo – il secondo amico di 22 anni – guidava ubriaco e sfrecciavano a 150 all'ora. “La felicità non sta nell'apparenza, nel consenso, nei follower o nei like – le parole del sacerdote -. Bisogna imparare a distinguere il reale dal virtuale. La felicità non sta nella trasgressione ma nel costruire affetti veri e sinceri, profondi. A costruire amicizie solo fondamentali, importanti, che siano amicizie che facciano crescere, che insegnano il bello, il buono, il vero”.
E poi l'appello agli adulti: “Oggi sentiamo vero quel proverbio che dice per educare un figlio ci vuole un villaggio. E necessario tessere reti di relazioni, sinergie, alleanze educative. Jenny ci dice che una famiglia da sola non può bastare. Bisogna che tra le famiglie, la scuola, le istituzioni, le comunità cristiane si crei un'alleanza, per essere vicini, accompagnare questi ragazzi. La società tutta, insieme, deve poter dire a ogni ragazzo “io per te ci sono”, “noi ci siamo, siamo disposti ad ascoltarvi, ad accompagnarvi, a sostenervi nelle vostre inquietudini, nelle vostre domande, nei vostri sogni, nelle attese più grandi che avete nel cuore. È urgente una alleanza educativa, che faccia percepire la verità di questa parola a ogni ragazzo, ogni adolescente, ogni giovane: non sei solo su quella barca, ci siamo, ci sono”.
Le parole più belle don Bortolo le ha però rivolte ai genitori di Jenny: “Non c'è un perché alla vita che si spezza, ad una barca che affonda appena sta per prendere il largo. Ma siamo qui innanzitutto a chiedere a Dio, che è amico, amico vero di tutti, a Gesù che è fratello e compagno di viaggio di ciascuno, di dire a Jennifer quelle parole che diceva ai suoi discepoli, “non avere paura, coraggio”. E questa parola è rivolta alla mamma, al papà, ai famigliari, agli amici, a tutti noi: coraggio, non abbiate paura. In questo momento Dio prende Jennifer per mano la fa approdare al porto. Non a quello che lei immaginava, ma al porto di una vita che non ha fine, eterna. Siamo qui perché sulla barca di Dio, Jenny viva per sempre. E vogliamo pensarla, sentirla, così sulla barca di Dio, viva per sempre. La mettiamo oggi, nelle sue mani, perché la coccoli, la custodisca, le stia vicino”.
“Se solo potessi rivederti solo cinque minuti, ti direi grazie e che ti voglio bene. E ti abbraccerei per sentire il tuo profumo che ti rimaneva addosso come la tua anima”, è invece l'ultimo messaggio che la mamma di Jenny ha rivolto alla sua bambina, una “piccola stellina”. Invece la mamma di Jenny quei cinque minuti per ringraziarla, abbracciarla, respirare il suo profumo, non li ha avuti: la sua Jenny la notte dello schianto è uscita di casa senza dirle nulla, senza salutarla, senza darle un bacio, senza più tornare da lei. E ancora: “Per me è difficile da accettare, ma trovo la forza dall'amore immenso che mi hai donato. Tu sei stata troppo, troppo per me, troppo per noi, troppo per tutti. Eri una forza della natura. La morte può dividerci, ma non può separare i nostri cuori".
All'uscita dalla basilica di San Nicolò, Jenny, “anima piccola e fragile”, come l'ha definita un'amica, è stata salutata con un lungo applauso, da decine di palloncini bianchi e rosa lasciati volare in cielo e dalle note e dal testo della sua canzone preferita: un brano rap, come quello di Capo Plaza che suonava a palla dalle casse della Bmw serie 1 su cui venerdì all'alba Jenny vagava senza meta. Con lei Massimo, 22enne di Lecco, che guidava nonostante fosse ubriaco, e Michele, di 19 anni di Malgrate. Li conosceva appena, li aveva incontrati tramite i social, erano stati insieme qualche volta in discoteca e in poche altre occasioni. Alle 5.01 lo schianto, contro un parapetto in cemento. Massimo e Michele sono sopravvissuti. Jenny no. Ora Massimo è indagato per omicidio stradale, Jenny invece non c'è più.