Lecco – “Chiedo giustizia. Voglio solo giustizia per la mia Jenny che non c’è più, mentre loro sono ancora liberi di andare in giro in macchina e magari fare del male ad altre ragazzine come lei”.
Artur Alcani, 38 anni, è un uomo distrutto. La sua Jennifer, ‘Jenny’ per tutti, è volata via a 13 anni dopo che l’auto su cui era salita si è schiantata a tutta velocità contro un parapetto in cemento della Sp 72 ad Abbadia Lariana. È morta giovedì scorso dopo una settimana passata in coma in un letto di ospedale. Massimo, il 22enne di Lecco che guidava la Bmw serie 1, è invece ancora libero di guidare, 12 giorni dopo l’incidente e a 7 dalla morte della ragazzina. “Com’è possibile?” si chiede Artur, che tramite l’avvocato Marcello Perillo ha presentato una querela contro il giovane. “Com’è possibile che ci voglia così tanto tempo per fare qualcosa?”.
Artur ha visto la sua piccola Jenny per l’ultima volta il pomeriggio prima dell’incidente: “Ci siamo salutati prima che andasse con la mamma al fast food – racconta –. Ci siamo salutati normalmente: nessun papà può pensare di non rivedere più la propria bimba. Con lei sono morto anch’io. Mi sento vuoto. Quando era ricoverata speravo in un miracolo, che si potesse salvare, ma Dio non mi ha accontentato, perché Dio vuole vicino a sé le persone più belle, come Jenny. Morirei al suo posto per poterla guardare e stare con lei solo qualche minuto ancora”.
Anche la mamma di Jenny, Graziella Danca, 44 anni, chiede giustizia e ha depositato a sua volta una querela per sottrazione di minore, sia verso Massimo, sia verso Michele, 19 anni di Malgrate, l’altro amico con cui Jenny era in auto (il ragazzo che ha filmato la corsa in auto e ha postato il video su TikTok). La Bmw era sua, l’aveva però prestata a Massimo perché lui non ha la patente. “Era solo una bambina, che spesso dormiva con me nel lettone – dice mamma Graziella –. Hanno insistito perché uscisse e andasse con loro. L’hanno convinta con la scusa di restituirle un paio di scarpe”. Ci sono i messaggi in chat che lo dimostrerebbero.
Dopo la cena con la mamma al fast food, Jenny era andata in camera sua a giocare alla Play, un bacio, la buonanotte. La mattina dopo alle 7.18 la telefonata dal Pronto soccorso per avvisare Graziella dell’incidente e che la figlia era grave: “Non ci volevo credere, sono corsa nella sua stanza a controllare e Jenny non c’era. Mi è crollato il mondo addosso. Lei era felicità, vivacità, era gioia, entusiasmo. Ora è morta, me l’hanno portata via. Voglio sapere che è successo. Voglio solo verità, voglio giustizia”.
Quella verità che stanno cercando i magistrati della Procura della Repubblica di Lecco: hanno acquisito i video girati nell’auto prima dello schianto, compreso uno girato da Jenny sul sedile posteriore, senza cintura, mentre canta, ride, si filma. E anche quelli di Michele, che mostrano Massimo guidare a 150 all’ora e delle bottiglie di birra e amaro vuote sul pianale della Bmw. E poi le annotazioni secondo cui sia Massimo che Michele si sarebbero allontanati dal Pronto soccorso mentre i medici stavano lottando per salvare la vita a Jenny, Massimo forse per non sottoporsi all’alcoltest, Michele per fare colazione con la sua ragazza. E le testimonianze di chi sostiene che fossero più interessati a tornare a casa che dell’amica che stava morendo. Perché tutti, non solo papà Artur e mamma Graziella, si aspettano, a distanza di quasi due settimane da quello schianto drammatico, di sapere come sia possibile morire a 13 anni in auto dopo una notte passata in giro con due amici maggiorenni.