DANIELE DE SALVO
Cronaca

La trappola del lago di Como. Ogni giorno un’emergenza: "Qui troppi tuffi spericolati"

Dal 15 giugno 87 interventi e tre vittime. Ma in 170 chilometri di costa i bagnini si contano su una mano. Tra cartelli ignorati, principianti al timone e natanti della domenica: il dramma è (sempre) dietro l’angolo.

La trappola del lago di Como. Ogni giorno un’emergenza: "Qui troppi tuffi spericolati"

Dal 15 giugno 87 interventi e tre vittime. Ma in 170 chilometri di costa i bagnini si contano su una mano. Tra cartelli ignorati, principianti al timone e natanti della domenica: il dramma è (sempre) dietro l’angolo.

È il mare dei milanesi e dei brianzoli che non vanno in ferie, una tappa fissa per molti stranieri in vacanza in Lombardia. Il lago di Como d’estate è affollato come la Riviera romagnola e quasi più trafficato della Statale 36: turisti, bagnanti che spesso non sanno nuotare o sottovalutano correnti e acqua fredda, velisti, diportisti, surfisti, kiter appesi a una vela in balìa del vento, sommozzatori, giovani che si tuffano da pontili e speroni di roccia. E poi ci sono i capitani di taxi boat e traghetti, marinai improvvisati ai comandi di fuoribordo in affitto che si possono guidare senza patente nautica, piloti di idrovolanti che decollano e ammarano. Le spiagge sulla sponda lecchese sono una settantina, di più quelle sulla comasca. Alaggi, porti, porticcioli, attracchi e imbarcaderi sono quasi 90. In una simile confusione e commistione, gli incidenti sono all’ordine del giorno.

Dal 15 giugno sono state salvate 87 persone dal lago di Como. Non tutti sono sopravvissuti: settimana scorsa un pensionato peruviano di 68 anni di Pregnana Milanese è affogato a Valbrona; a fine luglio un papà tedesco di 51 anni è annegato a Gravedona per salvare il figlio 12enne; a metà del mese scorso un 22enne inglese è stato inghiottito dal Lario a Menaggio. A vigilare, controllare, all’occorrenza salvare ci sono appena un manipolo di operatori delle forze dell’ordine, sanitari e volontari: i militari della Guardia costiera e i loro ausiliari, i carabinieri del Servizio navale di Lecco, i finanzieri del Reparto aeronavale di Como, i vigili del fuoco delle squadre nautiche, gli agenti di Polizia provinciale e i soccorritori di Areu, affiancati dagli Opsa della Croce rossa lecchese e dai volontari del Soccorso bellanese, gli unici a disporre di imbarcazioni. Sono pochi per 170 chilometri di costa e 145 chilometri quadrati di superficie del lago più profondo d’Italia. E a riva non c’è praticamente nessuno ad aiutarli, poiché la stragrande maggioranza dei lidi non sono presidiati, nemmeno quelli a pagamento: sul versante lecchese ad esempio ci sono solo i bagnini volontari degli Amici di Claudio a Colico, associazione fondata nel 2008 da mamma Patrizia Gobbi per impedire che altri anneghino nel lago come purtroppo successo a suo figlio 15enne Claudio in un pomeriggio di luglio 2007, e i bagnini a quattro zampe con i coloro conduttori dell’Associazione cinofila salvataggio nautico a Bellano (solamente durante i weekend). Il richiamo all’ordine è così affidato a pochi cartelli di divieto, spesso ignorati.

Non resta quindi che la prudenza e il buon senso. "Mai nuotare senza la giusta preparazione, dei 400 annegamenti che ogni anno si verificano in Italia, la maggior parte sono per incapacità e affaticamento in acqua", è il primo comandamento del bagno sicuro impartito da Nicolò Bianchi, 30 anni, uno degli Operatori polivalenti del Soccorso acquatico della Croce rossa di Lecco. E poi: "Evitare tuffi delle grandi altezze. Valutare la profondità dell’acqua, perché il lago di Como diventa profondo in pochi metri. Entrare gradualmente in acqua per abituare il corpo alle temperature più basse. Limitare il consumo di alcolici in spiaggia. Non allontanarsi da riva con materassini e gonfiabili, che potrebbero ribaltarsi". "Per chi va in barca è importante inoltre effettuare la manutenzione del natante e del motore", aggiunge Edgardo Lanfranchi, 42 anni, da 16 vigile del fuoco, soccorritore e responsabile del Soccorso acquatico dei vigili del fuoco del comando provinciale di Lecco. Il rischio altrimenti è quello di restare alla deriva.