di Daniele De Salvo
Il lago di Sartirana di Merate quest’estate si è trasformato in un vero e proprio lago acido. Ad uccidere in soli due giorni, tra il 3 e il 4 agosto scorsi, quasi quattro tonnellate di pesci che nuotavano e vivevano nelle acque del piccolo bacino prealpino è stata infatti l’elevata concentrazione di ammoniaca insieme all’assenza di ossigeno. A svelare il killer di persici, carpe, tinche, temoli, anguille e alborelle ma non gli infestanti pesci gatto che sembrano alieni in grado di resistere ad ogni condizione estrema, è l’assessore regionale ai Sistemi verdi Fabio Rolfi, in base alle prove fornite dagli investigatori della Polizia provinciale di Lecco e dell’Arpa subito intervenuti sulla scena del crimine.
"Nei giorni precedenti la moria ittica si sono verificati episodi temporaleschi con venti molto forti, condizioni che hanno favorito un rimescolamento degli strati fino alla possibile movimentazione dei sedimenti di fondo caratterizzati da detriti di origine vegetale – spiega l’assessore in un relazione in risposta ad una interrogazione presentata dal consigliere regionale del Movimento Cinque Stelle Marco Fumagalli -. Queste condizioni di elevato apporto di sostanza organica in decomposizione puà aver favorito un elevato consumo di ossigeno che può essersi sommato al consumo già avviato dalla decomposizione della massa fitoplanctonica generata da una massiccia fioritura algale in corso. La movimentazione del fondo può inoltre aver favorito l’aumento della concentrazione di ammoniaca". L’acqua ha raggiunto a tratti un pH di 9 che è quello dell’ammoniaca appunto mentre l’ossigeno disciolto era pressoché nullo, un mix che ha scatenato una tempesta ambientale perfetta e si è rivelato letale. Quanto ci vorrà prima che si possa sanare il disastro non è possibile stabilirlo.
"Non è ipotizzabile una previsione – ammette l’assessore regionale -. Molto dipenderà dai tempi e dall’efficacia degli interventi di risanamento". Per salvare il lago di Sartirana, che dal 1984 rientra in un riserva regionale e dal 2003 è un sito di interesse comunitario, e con esso i pesci e gli animali che lo popolano e le piante che attorno ad esso crescono, già dal 2010 ci sono due progetti di intervento: uno prevede l’asportazione dei sedimenti dragando e drenando il fondale, l’altro la diluizione e washout con acqua a basso contenuto di sali minerali. A distanza di due lustri poco è stato realizzato, la situazione è anzi ulteriormente peggiorata.